venerdì 25 aprile 2008

Come fare concerti schifosi – Lezione 1

Concerti brutti, concerti schifosi…non è la stessa cosa. Suonicchiare così così, fare spettacoli mediamente brutti e deludenti è piuttosto facile. Basta non impegnarsi, non aver cura degli strumenti né di se stessi (non limarsi le unghie, dimenticare gli occhiali), fare prove tirate via in fretta e non studiare. Qualunque idiota può riuscirci. No, noi vogliamo puntare più in alto: creare un evento davvero disgustoso, rimanere per anni come pietra di paragone negativa nella memoria scioccata degli spettatori. Ciò richiede impegno tanto quanto creare un'opera d'arte.

Vedremo in queste lezioni alcuni accorgimenti, alcuni facili da adottare, altri meno, ma tutti sperimentati e di sicura efficacia.

Primo consiglio: Suonare male

Ah, già, era ovvio. Pensate sia facile? Scontato? Alla portata di tutti?

NO!

Suonare sempre male è facile per un novellino, ma dopo diventa un impegno a tempo pieno. Se vi arrabattate in una qualunque attività, e provate provate provate, inevitabilmente finirete per migliorare. Magari di poco, ma giusto quel filino che basta per ritrovarvi tagliati fuori dalla privilegiata categoria dei "Negati assoluti - da evitare come la peste" per affondare nello sterminato mare dei "Mediocri - insignificanti", che è quanto di peggio possa capitare.
Dunque, per essere certi di non migliorare mai nonostante l'esercizio (nella musica come in qualunque altra disciplina) non c'è che una strada, tutta in salita:

farsi vanto della propria ignoranza e difenderla da ogni attacco.

Dovrete naturalmente imparare qualcosina all'inizio: la diteggiatura, le note sul pentagramma, da che parte si gira lo strumento, se si mette in bocca o si tiene sottobraccio e così via. Queste cose non ve le potete proprio inventare. Ma cominciate bene l'opera evitando nel modo più assoluto di chiedere aiuto a chi potrebbe rendervi le cose più facili o diononvoglia seguire un corso, fosse anche per corrispondenza. L'Arte non si insegna e non si impara! E voi ne sarete la dimostrazione vivente! Volete mettere la soddisfazione di impiegare 3 anni per trovare da soli le note sul flauto dolce, che un bambino normodotato delle medie impara a suonare in 1 mese? Seguire le regole e i consigli distillati da secoli di esperienza di chi è venuto prima di voi è stupido e frustrante, specie quando non capite cosa significhino, quindi dite basta!

Essere del tutto autodidatti vi darà un ulteriore vantaggio: non sentir neppure parlare del solfeggio, dell'importanza dell'intonazione, del fraseggio o altri concetti nemici della creatività.
Nessuno deve dirvi come si suona un pezzo, nemmeno l'autore.

E una volta che sarete riusciti, a parer vostro, a riprodurre la melodia della canzonetta/ballata gaelica/sonata per violoncello che vi piace tanto non avrete bisogno di nient'altro: uno che suona è un musicista, giusto? Potete prendervi gioco di tutti quelli che continuano a sostenere che occorrano anni di studio e un buon maestro per crescere: tutti incapaci invidiosi o, peggio, loschi figuri che vorrebbero vendervi un corso.
Non ascoltate nessuno, neanche per sbaglio al bar: le loro parole potrebbero penetrarvi nel cervello come un virus e contagiarvi di senso critico, addirittura insegnandovi qualcosa.

Ma, mi raccomando, non siate egoisti: voi al contrario dovrete essere prodighi dei vostri consigli. Quando vi trovaste a suonare in un gruppo...
Certamente solo qualche club suicida giapponese potrebbe volervi davvero tra i suoi membri, per dare una spinta agli indecisi, tuttavia possono verificarsi circostanze per cui gente normalmente provvista di udito e gusto musicale si sentirà spronata a invitarvi ugualmente (circostanze positive: siete belli e ricchi, proprietari di un teatro, assessori alla cultura; circostanze negative: non c'è nessun altro disponibile, siete un boss mafioso, un assessore alla cultura).
Quando vi trovaste a suonare in un gruppo, dicevo, fate vostra la missione di elevare al vostro livello gli altri componenti (elevare o abbassare, che importanza ha: alto e basso dipendono sempre dal punto di vista), condividete col mondo il vostro talento!

E se un giorno voleste cambiare carriera, sappiate che come effetto collaterale avrete anche sviluppato la mentalità giusta per diventare un aspirante scrittore.

domenica 20 aprile 2008

Prossimamente

Cosa ho in serbo?
Diverse idee danzano nella mia mente senza concretizzarsi, o solidificandosi solo in parte e lasciandomi frustrata e in colpa per aver abbandonato per troppi giorni il blog…

Vediamo: ho un serbatoio davvero inesauribile di pezzi di scrittura caotica, ma vorrei postarli solo quando mi sento in vena e non usarli come riempitivo.
Poi ci sono le lezioni di cattivo comportamento per musicisti dilettanti, ne ho due già pronte ma vorrei portarmi più avanti di così prima di iniziare la serie.
Poi ho dei frammenti di vita vissuta lavorativa a cui non sono mai riuscita a dar forma di racconto completo, potrei sbrodolarli in questo spazio…ma sono ancora troppo pochi, troppo dispersivi…
Potrei persino riciclare alcuni pessimi pezzi scritti da ragazzina sulle mie disavventure musicali, ma non ne ho il coraggio, sono adolescenziali e goffi.

Questa sembra una di quelle lagne di "non so cosa scrivere nel blog", ma invece no, ho troppe cose che vorrei scrivere!

E mi macero nei dubbi: è davvero positivo saltare di palo in frasca, alternare rigorosamente gli argomenti come la mia innata esigenza di simmetria mi porta a fare? Non si finisce per creare un piattume diffuso, una minestra grigiastra, una zona a massima entropia che dunque non potrà più evolversi?

Una cosa almeno la so, la diceva la mia maestra delle elementari (allora ne avevamo una sola) quando ci stava preparando all’esame di licenza (che allora si faceva): mai e poi mai anticipare quanti saranno i punti di un elenco che si sta ancora componendo mentre si parla (o si scrive)…non saranno sicuramente quelli lì, e invece ci sarà chi non avrà recepito nient’altro del tuo discorso tranne il fatto che non sapevi quello che volevi dire, o che non sei capace di contare, e, diciamocelo, fa brutta impressione.
Lo stesso per denominazioni tipo "parte x di y" che suonano molto professionali ma sono da lasciare a chi ha davvero tutti gli y sotto controllo.

Certo che è difficile resistere alla tentazione di comporre dei punti elenco, sembrano così ordinati, confortanti, amichevoli. Ma una volta che si è numerato qualcosa non si scappa più, e non si può trovare spazio per cose nate successivamente (mica si può scrivere il capitolo 4 ½ per infilare tra 4 e 5 qualcosa che si era dimenticato prima), la consequenzialità è obbligata…
La consequenzialità! E’ lì il problema! Numeri e lettere ci impongono il loro ordinamento.
Anche i colori: c'è una lunghezza d'onda (o una frequenza), che ci riconduce a un numero...
Le figure geometriche potrebbero essere ordinate in base ai lati o agli spigoli...

Ecco, l'unica speranza è usare scarabocchi e simboli senza preciso significato. O magari i numeri complessi.

mercoledì 16 aprile 2008

Canzoni dell'orrore

Cassetta indemoniata: pussa via!

Sono sempre stata impressionabile. Troppo.
Oltre alle normali paure dei bambini ne avevo alcune inspiegabili e stupide.

Quando ero piccolina eravamo assai poveri, tanto che -sebbene mia madre e mia nonna adorassero la musica, come me- ci dovevamo accontentare della radio, dei 45 giri di quando erano ragazzi i miei zii e delle stesse 4-5 musicassette che ascoltavamo a ripetizione. Erano compilation di successi di quegli anni, e anche di prima che io nascessi. Le conoscevo a memoria. Ricordo ancora qualcosa.
Alle porte del sole...Champagne...Felicità ta ta...

Ma chi se ne frega? Vabbé il diario online, ma non esageriamo. E poi così si capisce quanti anni ho in realtà...mettiamoci una pietra sopra.
Tornando in argomento, c'era una di quelle cassette che evitavo, ogni volta che potevo scegliere, di mettere su perché essa conteneva (brivido) Canson de Natale, in genovese, cantata dai Trilli. Una canzocina pastorale, serena, dal testo -come si può immaginare- idilliaco che descrive il Bambino nella sua capannuccia.
A metà del brano vi è una breve sequenza in cui i cantanti, con fare giocoso, imitano con la voce il suono delle zampogne, facendo un bordone grave e insistente: UUUUUMMMM...da farti rimpiangere le unghie sulla lavagna. (*)

Ma la cosa peggiore era un'altra. Era come la canzone cominciava. Iniziava in sordina, con un coretto infantile che farfugliava una litania incomprensibile e funesta, in crescendo, implacabile e demoniaco, sempre più forte...finché non scoppiavo in lacrime.
Credo che anche la chiusa fosse simmetrica, ma non ricordo con chiarezza, non penso di averla sentita finire molte volte.

In realtà tutto questo terrore è nato da un equivoco.
Il coretto diceva semplicemente din don alleluia.
Ma io, bambina di cinque anni che non frequentava mai la chiesa, non conoscevo la parola "alleluia" e per questo motivo non udivo che suoni inarticolati che lasciavano presagire un orrore incombente, l'evocazione della bestia che emerge dagli abissi.

Quindi è tutta colpa di mia madre, che non mi ha dato una buona educazione cattolica.

Ormai la cassetta è ultrarovinata, quasi inascoltabile; recentemente ho tentato di ripescare la canzone su emule o simili ma non l'ho mai trovata, chissà perché.

(*) Nota: Oggi è risaputo che alcune frequenze di infrasuoni provocano senso di disagio e angoscia, disturbano il ritmo cardiaco, inducono illusioni visive e a volte possono preannunciare il terremoto, quindi la mia antipatia per i suoni molto gravi non è poi tanto irragionevole.

sabato 5 aprile 2008

Spifferate


Mi sono registrata su Blogitalia anche sotto la categoria "Musica" quindi bisognerà che inizi a trattare l'argomento.

Non è facile per me parlare di musica; la considero senza dubbio la più bella creazione dell'uomo in assoluto, ma nonostante io abbia studiato a suo tempo teorie solfeggi e quant'altro ho con essa un rapporto molto istintivo, potremmo dire viscerale. Potremmo, ma non mi piace viscerale, mi fa pensare a budella sparse, diciamo allora semplicemente fisico.
Non è facile parlare di una sensazione fisica, soggettiva.

Ascoltare un pezzo che mi piace è come addentare una bella fetta di pizza appena sfornata (o una fetta di torta se preferite, io sono più per il salato), una goduria, una beatitudine che cancella ogni altro pensiero. Pare che sia stato ormai appurato che in certe persone (geneticamente?) predisposte l'ascolto della musica preferita scateni tutta una serie di reazioni chimiche e fenomeni elettrici nel sistema nervoso, culminando nella produzione di endorfine e sostanze varie che inducono una sensazione di benessere che neanche la droga...
Non fatico a crederlo. Il concetto è stato mirabilmente espresso da Vikram Seth nella chiusa di Una musica costante, frase che ho messo come apertura del blog, quindi non ci sto a ricamare ulteriormente sopra.

La conseguenza di tutto ciò è che a me, come penso a tutte queste altre persone che vivono la musica in tal modo, non frega assolutamente niente del perché e percome il pezzo è stato scritto, né da chi, né in cambio di cosa.
Esiste davvero chi, nel rotolarsi tra gli intingoli, nell'immergere voluttuosamente la faccia nella torta alla panna si domanda che tipo di persona sia il cuoco, che ideologie/religioni sostienga, che partito voti, se abbia cucinato per passione e amore per la Grande Cucina Universale o se abbia voluto orrore essere pagato, e magari aspetta di saperlo per decidere se il cibo gli piace o meno?
Spero vivamente di no.

Bando alle polemiche. Il mio nick, Auletride, allude alle suonatrici di flauto che allietavano i banchetti nell'antichità (non solo suonando, penso, ma questo non mi riguarda) e mi è sembrato un soprannome adeguato visto che anch'io, a tempo perso, sono una flautista. Il mio strumento non è ovviamente quello dei Greci, bensì il flauto dolce o diritto (Blockflöte, flûte à bec, recorder), strumento di antichissime origini che ha conosciuto grandi splendori per poi cadere in disuso assai rapidamente alla fine del '700 quando i gusti del pubblico sono cambiati (come accade a tutte le cose).

Posso dire di avere qualcosa in comune con Umberto Eco!



Ecco un paio dei miei "bambini"...


Altri strumenti nel corso del tempo hanno potuto adattarsi alle nuove esigenze di compositori e pubblico con qualche correzione strutturale, espandendo (o spostando?) l'estensione, esplorando diverse possibilità dinamiche (cioè di suonare più piano o più forte) mai cercate prima.Il flauto dolce da questo punto di vista ce l'aveva in un piede, essendo nient'altro che un tubo di legno forato con una specie di fischietto all'estremità. Una struttura semplice ed essenziale, di immediato utilizzo che ben difficilmente può "guastarsi", ma che per contro, come tutti gli oggetti semplici, non offre alcun margine di intervento. Il flauto ha una voce delicata ma fievole, e soprattutto sempre uguale (cioè bassissima). Non si poteva far nulla per renderlo alla moda.



L'incredibile tecnologia di cui è composto un flauto dolce!


Quindi esso è stato abbandonato ed è rimasto così da allora, testimone di un'epoca in cui la musica viveva di sfumature e chiaroscuri, di effetti minimali affidati più all'intenzione dell'esecutore e alla volontà dell'ascoltatore di coglierli che sulla reale risposta dello strumento.

L'utilizzo del flauto dolce, in una versione se possibile ancor più semplificata, per avvicinare i bambini alla musica è una splendida idea, io stessa ho scoperto il mio talento in questo modo e non mi passa per la testa di fare la snob...purtroppo però questa iniziativa ha avuto la spiacevole conseguenza di far apparire questo strumento come un giocattolo agli occhi della gente, un pifferino da considerarsi nel migliore dei casi come propedeutico alla musica "vera".
Non so quanti sappiano che è esistito un ricco repertorio per flauto dolce, che autori del calibro di Bach e Vivaldi lo hanno tenuto in gran conto, che non si tratta (non necessariamente cioè) di un affarino di plastica che si trova nelle patatine.

E non penso che un suonatore di fagotto, tanto per citare un nome che si presta anche lui allo scherzo, raccolga nel corso della sua carriera altrettanti sfottò sul nome dello strumento (effettivamente è buffo fagotto ahaha...): mille lire per ogni flauto storto o caramellato mi avrebbero resa ricca.