sabato 26 ottobre 2013

Preparandomi...

per quel periodo dell'anno...

Succede di tutto: concerti, prove, ingolfamento lavorativo con tanto di microtrasferta e finanche un lutto in famiglia. Ma non demordo. Non mi lascio smontare, perché voglio tentare il colpo grosso.

Ho un progetto davvero ambizioso ques'anno. Rifare al meglio "Il Primo Gradino" (titolo provvisorio, anche lui da cambiare) con una nuova trama, conflitti imprevisti e grosse scelte da affrontare per i poveri protagonisti.
Parto col vantaggio di conoscere già molto bene i personaggi e l'ambientazione, posso scalettare scendendo nei dettagli e approfondendo perché so cosa può funzionare e cosa no.

Andare quasi a ruota libera come ho fatto le altre volte è divertente per far nascere delle idee, ma se poi queste non si concretizzano e coagulano in un progetto coerente e portato avanti con rigore rimane tutto un gioco fine a se stesso, non molto diverso che stare tutto il giorno a giocare coi Sims.

Mi serve l'atmosfera di entusiasmo collettivo (mondiale!) del NaNoWriMo per trovare l'energia, ma stavolta lavorerò lasciando in secondo piano l'ansia del conteggio parole (pur importante) per pensare invece già alla qualità dello scritto.

Pazzesco.

domenica 7 aprile 2013

Accettazione


Per carenza di personale, è stato stabilito già da un paio d'anni che tutti noi del laboratorio dobbiamo turnare a coprire il posto vacante in accettazione.

Dire che nessuno vuole farlo è un eufemismo.

Oltre a non essere il nostro lavoro (siamo tutti tecnici e si tratta di un ruolo semi-amministrativo) e porre quindi difficoltà notevoli di adattamento mentale, l'accettazione è anche uno sportello aperto al pubblico...

Vi siete mai indignati andando a chiedere informazioni in qualche ufficio per sentirvi dare risposte più che vaghe, come se la persona seduta lì fosse appena scesa dalla luna?

E chi le dovrebbe sapere queste cose, mia nonna? Lei lavora qui, no?”

La vostra irritazione è comprensibile, ma ecco, considerate l'ipotesi che magari state chiedendo le tariffe postali o le procedure legali per chiedere un intervento dei NAS a uno che fino alla scorsa settimana studiava le rocce per cercare l'amianto, e l'unica procedura che conosce è quella per accendere il microscopio elettronico.

Vi aspettate che il ragioniere del ristorante cucini bene?

Ecco, allora perché pretendete il contrario?

Altra implicazione: deve esserci sempre qualcuno nella stanza. Gli ispettori e i nostri prelevatori suonano alla porta sul retro, qualcuno deve aprire. Il telefono squilla, qualcuno deve rispondere. La gente entra, qualcuno deve accoglierla. Arriva il corriere, qualcuno deve ritirare e consegnare le borse.

Non si può andare a far pipì/mangiare/prendere il caffè quando se ne ha voglia.

Normale disciplina in molti altri luoghi di lavoro, eh, ne sono consapevole...ma regole molto dure per noi. Che siamo dei disgraziati, lasciati ai nostri istinti animaleschi ci aggiriamo nei corridoi schiamazzando come una scolaresca e lavoriamo solo se frustati.

Comunque alla fine toccava a me, un evento notevole perché sino all'ultimo momento incerto.

Ero pronta (si fa per dire) a presentarmi –secondo calendario pubblicato– il 1° gennaio 2012, ma pochi giorni prima mi venne comunicato che una collega aveva chiesto di scambiarsi per motivi personali, rendendosi disponibile per quel periodo.

Nonostante io sia poco espansiva, il direttore è rimasto così folgorato dal mio sorriso di sollievo da volermi fotografare.

Ma non c'è riuscito.

Mi spiace. Il momento fuggevole è andato perduto. Questa è l'espressione con cui voglio essere immortalata, sempre e comunque:


Il mio nuovo giorno di inizio sarebbe stato il 2 maggio.
Le colleghe dell'accettazione mi hanno trovata alla postazione, in attesa. Mi hanno guardata in modo strano. Eppure non avevo in mano il granbasso della foto precedente.

«Ma non ti hanno detto niente?»

Alla collega di prima era stato chiesto di allungare il suo turno ancora fino all'autunno.
Ordini di servizio? Comunicazioni? Avvisi agli interessati? Eh?

Torno in reparto interrompendo la festa di quelli che si credevano i miei ex-collaboratori. Ma dopo lo scorno iniziale, il buon Sandro è stato felice di riavermi lì a lavorare al posto suo al suo fianco, la prospettiva di dover gestire da solo le estemporanee follie della collega-capo che non viene dalla Lettonia e non si chiama Elena (che non si pronuncia Ielena, affatto) sotto sotto lo preoccupava.

Ma alla fine sono dovuta andare, a ottobre, dopo molti altri litigi tra reparti e memorabili mail tra di noi piene di turpiloquio.

Con la mia caratteristica sollecitudine, sono giunta a parlare della cosa oggi, che ho concluso il turno da una settimana.

E mi sono già stufata.

Ho imparato molte cose dal quotidiano teatrino a cui ho avuto la fortuna di assistere, ma adesso visto che posso vado a mangiare quando mi pare e piace e ne parlerò la prossima volta.

sabato 9 febbraio 2013

La storia noiosa

Il mio primo vero romanzo –non il primo della mia vita, ma quello che ho creato dopo aver acquisito un minimo di consapevolezza nella scrittura– l'opera che ho cercato di elaborare al meglio studiando e applicandomi, alla verifica dei fatti non è andato tanto bene.

Cioè, è un disastro.

Non tanto per la parte tecnica, che è migliorabile ma già decorosa (lo studio non è stato inutile), ma per l'assenza di un qualsivoglia intreccio interessante.

Intendiamoci, non è che non succeda niente. Ma succedono cose al personaggio, anziché per causa sua. Avviene un cambiamento, ma non attraverso la giusta tensione, la lotta.

Ho dato rilevanza alla "cornice" della storia, al problema iniziale che il protagonista si porta da casa, anzichè alla vicenda che realmente stavo raccontando, e che era per me a solo un pretesto.
E il povero lettore rimane con un palmo di naso, la storia non decolla.

E se ho identificato il processo bacato (*) che mi ha portato a commettere simili errori, se è giustificabile che non mi sia accorta durante il lavoro di quale vicolo cieco avevo imboccato, non riesco a capacitarmi di non aver visto il problema nel romanzo finito, che pure avevo messo in discussione.

Eppure i segni c'erano, e una certa sotterranea inquietudine da parte mia. Qualcosa non girava, e lo sapevo. La storia era statica, dubitavo che sarebbe potuta piacere a qualcuno che non fosse innamorato dei personaggi quanto me.
Lo vedevo, ma ho voluto convincermi che non fosse grave.

E dire che quando il tuo stesso protagonista se ne esce a sbuffare:
"Ma che storia è? Se la stessimo raccontando a qualcuno, si sarebbe già addormentato!"
ecco, sarebbe il momento di farsi delle domande.

Avevo tentato di controllare quanto lo scritto si conformasse ai ragionevoli schemi di una struttura narrativa sensata (e che è la stessa da 2000 anni, ci sarà una ragione). Avevo notato che la struttura non collimava manco per sbaglio. Ma niente, l'errore di fondo che aveva minato tutto lo sviluppo ha continuato a eludere il mio scrutinio.

Il dubbio però ha continuato a crescere, un'ombra strisciante tra le pagine, un'angoscia esistenziale, un...
No, vabbè, ero convinta che andasse bene così.
C'è voluto il parere di un editor indipendente per strapparmi le fette di salame dagli occhi.

Sono contenta che sia accaduto, anche se questo vuol dire cestinare gran parte del lavoro e ristrutturare daccapo la vicenda.

Non c'è niente come scornarsi con un errore per imparare, come quando ti schianti contro un camion e voli giù dal viadotto...

Poi non lo fai più.

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(*) Cominciare a scrivere con solo l'inizio, la fine, e qualche vaga idea di eventi sparsi lì in mezzo, scalettare poche scene alla volta navigando a vista e convincersi che quello sia "programmare" il romanzo.