Per
carenza di personale, è stato stabilito già da un paio d'anni che
tutti noi del laboratorio dobbiamo turnare a coprire il posto vacante
in accettazione.
Dire
che nessuno vuole farlo è un eufemismo.
Oltre
a non essere il nostro lavoro (siamo tutti tecnici e si tratta di un
ruolo semi-amministrativo) e porre quindi difficoltà notevoli di
adattamento mentale, l'accettazione è anche uno sportello aperto al
pubblico...
Vi
siete mai indignati andando a chiedere informazioni in qualche
ufficio per sentirvi dare risposte più che vaghe, come se la persona
seduta lì fosse appena scesa dalla luna?
“E
chi le dovrebbe sapere queste cose, mia nonna? Lei lavora qui, no?”
La
vostra irritazione è comprensibile, ma ecco, considerate l'ipotesi
che magari state chiedendo le tariffe postali o le procedure legali
per chiedere un intervento dei NAS a uno che fino alla scorsa
settimana studiava le rocce per cercare l'amianto, e l'unica
procedura che conosce è quella per accendere il microscopio
elettronico.
Vi
aspettate che il ragioniere del ristorante cucini bene?
Ecco,
allora perché pretendete il contrario?
Altra
implicazione: deve esserci sempre qualcuno nella stanza. Gli
ispettori e i nostri prelevatori suonano alla porta sul retro,
qualcuno deve aprire. Il telefono squilla, qualcuno deve rispondere.
La gente entra, qualcuno deve accoglierla. Arriva il corriere,
qualcuno deve ritirare e consegnare le borse.
Non
si può andare a far pipì/mangiare/prendere il caffè quando se ne
ha voglia.
Normale
disciplina in molti altri luoghi di lavoro, eh, ne sono
consapevole...ma regole molto dure per noi. Che siamo dei
disgraziati, lasciati ai nostri istinti animaleschi ci aggiriamo nei
corridoi schiamazzando come una scolaresca e lavoriamo solo se
frustati.
Comunque
alla fine toccava a me, un evento notevole perché sino all'ultimo
momento incerto.
Ero
pronta (si fa per dire) a presentarmi –secondo calendario
pubblicato– il 1° gennaio 2012, ma pochi giorni prima mi venne
comunicato che una collega aveva chiesto di scambiarsi per motivi
personali, rendendosi disponibile per quel periodo.
Nonostante
io sia poco espansiva, il direttore è rimasto così folgorato dal
mio sorriso di sollievo da volermi fotografare.
Ma
non c'è riuscito.
Mi
spiace. Il momento fuggevole è andato perduto. Questa è
l'espressione con cui voglio essere immortalata, sempre e comunque:
Il mio nuovo giorno di inizio sarebbe stato il 2 maggio.
«Ma
non ti hanno detto niente?»
Alla
collega di prima era stato chiesto di allungare il suo turno ancora
fino all'autunno.
Ordini
di servizio? Comunicazioni? Avvisi agli interessati? Eh?
Torno
in reparto interrompendo la festa di quelli che si credevano i miei
ex-collaboratori. Ma dopo lo scorno iniziale, il buon Sandro è stato
felice di riavermi lì a lavorare al posto suo al
suo fianco, la prospettiva di dover gestire da solo le estemporanee
follie della collega-capo che non viene dalla Lettonia e non si
chiama Elena (che non si pronuncia Ielena, affatto) sotto
sotto lo preoccupava.
Ma
alla fine sono dovuta andare, a ottobre, dopo molti altri litigi tra
reparti e memorabili mail tra di noi piene di turpiloquio.
Con
la mia caratteristica sollecitudine, sono giunta a parlare della cosa
oggi, che ho concluso il turno da una settimana.
E
mi sono già stufata.
Ho
imparato molte cose dal quotidiano teatrino a cui ho avuto la fortuna
di assistere, ma adesso visto che posso vado a mangiare quando mi pare e piace e ne parlerò la prossima
volta.