domenica 7 aprile 2013

Accettazione


Per carenza di personale, è stato stabilito già da un paio d'anni che tutti noi del laboratorio dobbiamo turnare a coprire il posto vacante in accettazione.

Dire che nessuno vuole farlo è un eufemismo.

Oltre a non essere il nostro lavoro (siamo tutti tecnici e si tratta di un ruolo semi-amministrativo) e porre quindi difficoltà notevoli di adattamento mentale, l'accettazione è anche uno sportello aperto al pubblico...

Vi siete mai indignati andando a chiedere informazioni in qualche ufficio per sentirvi dare risposte più che vaghe, come se la persona seduta lì fosse appena scesa dalla luna?

E chi le dovrebbe sapere queste cose, mia nonna? Lei lavora qui, no?”

La vostra irritazione è comprensibile, ma ecco, considerate l'ipotesi che magari state chiedendo le tariffe postali o le procedure legali per chiedere un intervento dei NAS a uno che fino alla scorsa settimana studiava le rocce per cercare l'amianto, e l'unica procedura che conosce è quella per accendere il microscopio elettronico.

Vi aspettate che il ragioniere del ristorante cucini bene?

Ecco, allora perché pretendete il contrario?

Altra implicazione: deve esserci sempre qualcuno nella stanza. Gli ispettori e i nostri prelevatori suonano alla porta sul retro, qualcuno deve aprire. Il telefono squilla, qualcuno deve rispondere. La gente entra, qualcuno deve accoglierla. Arriva il corriere, qualcuno deve ritirare e consegnare le borse.

Non si può andare a far pipì/mangiare/prendere il caffè quando se ne ha voglia.

Normale disciplina in molti altri luoghi di lavoro, eh, ne sono consapevole...ma regole molto dure per noi. Che siamo dei disgraziati, lasciati ai nostri istinti animaleschi ci aggiriamo nei corridoi schiamazzando come una scolaresca e lavoriamo solo se frustati.

Comunque alla fine toccava a me, un evento notevole perché sino all'ultimo momento incerto.

Ero pronta (si fa per dire) a presentarmi –secondo calendario pubblicato– il 1° gennaio 2012, ma pochi giorni prima mi venne comunicato che una collega aveva chiesto di scambiarsi per motivi personali, rendendosi disponibile per quel periodo.

Nonostante io sia poco espansiva, il direttore è rimasto così folgorato dal mio sorriso di sollievo da volermi fotografare.

Ma non c'è riuscito.

Mi spiace. Il momento fuggevole è andato perduto. Questa è l'espressione con cui voglio essere immortalata, sempre e comunque:


Il mio nuovo giorno di inizio sarebbe stato il 2 maggio.
Le colleghe dell'accettazione mi hanno trovata alla postazione, in attesa. Mi hanno guardata in modo strano. Eppure non avevo in mano il granbasso della foto precedente.

«Ma non ti hanno detto niente?»

Alla collega di prima era stato chiesto di allungare il suo turno ancora fino all'autunno.
Ordini di servizio? Comunicazioni? Avvisi agli interessati? Eh?

Torno in reparto interrompendo la festa di quelli che si credevano i miei ex-collaboratori. Ma dopo lo scorno iniziale, il buon Sandro è stato felice di riavermi lì a lavorare al posto suo al suo fianco, la prospettiva di dover gestire da solo le estemporanee follie della collega-capo che non viene dalla Lettonia e non si chiama Elena (che non si pronuncia Ielena, affatto) sotto sotto lo preoccupava.

Ma alla fine sono dovuta andare, a ottobre, dopo molti altri litigi tra reparti e memorabili mail tra di noi piene di turpiloquio.

Con la mia caratteristica sollecitudine, sono giunta a parlare della cosa oggi, che ho concluso il turno da una settimana.

E mi sono già stufata.

Ho imparato molte cose dal quotidiano teatrino a cui ho avuto la fortuna di assistere, ma adesso visto che posso vado a mangiare quando mi pare e piace e ne parlerò la prossima volta.