lunedì 26 ottobre 2009

Buttarsi dalla torre…per 523 pagine

Quando era uscito La ragazza della torre, di Cecilia Dart-Thornton, avevo leggiucchiato recensioni entusiastiche, ma mi era caduto l’occhio anche su qualche parere negativo. Sfortunatamente, questi pareri erano frasi del tipo “è brutto”, veramente illuminanti, quindi alla fine, complici gli sconti, mi sono lasciata tentare.

Ecco, non mi ha convinta.

Ora, sorvoliamo sul traduttore davvero sveglio che evidentemente non aveva capito che il sesso della protagonista dovesse essere un piccolo colpo di scena…devo ammettere che sin dall’inizio sono stata infastidita dal taglio generale della narrazione.
Pensavo fosse una questione di stile e di gusti: l’autrice ha una prosa prolissa, lenta all’inverosimile. Di per sé questo non è un errore. Però…si esagera. Capisco che si tratta del primo volume di una trilogia, e magari certi elementi acquisteranno importanza in seguito, ma c’è un’insistenza smodata su dettagli marginali.
Che ci importa, ad esempio, del matrimonio tra i due nobili che avviene all’inizio? Questi tizi riappaiono poi, o era solo una festa qualsiasi, e in tal caso che ci frega se le nozze erano combinate ma in realtà i due si piacevano e tutta questa pappardella?
Abbiamo capito che Thorn è bravo a trovare cibo nei boschi, non è necessario descrivere ogni singola pianta commestibile e il modo di cucinarla. Nemmeno sapere come fare le perline con le rose e sorbirmi l’elenco delle faccende domestiche quotidiane di Silken Janet mi sembra fondamentale. E così via. Quasi in ogni pagina ci sono dettagli superflui come questi e no, mi dispiace, non fanno atmosfera, non quando mi vengono propinati con questo tono da maestrina saccente. Sono solo noiosi.

La trama principale progredisce di pochissimo in tutto il libro, e questo ha via via smorzato il mio entusiasmo. Non sono una patita della velocità, anzi. Ma scrivere decine di pagine di gente che si racconta a vicenda antiche leggende anziché farmele vivere direttamente nella storia che senso ha? Ammesso che abbia un senso, già a priori, inserire leggende irlandesi tali e quali nel libro senza rielaborarle un minimo, senza personalizzarle.

Ma poi sono semplicemente troppe. Troppa roba inutile in quelle che alla fine sono 500 pagine di camminate nei boschi.

Immaginiamo di avere di fronte un palcoscenico e di vedere la storia.
Ecco, per quel poco che ne so (Sandro correggimi), in teatro ci sono attori e comparse. La divisione è netta. Se sei una comparsa, stai sullo sfondo, stai zitto, non vieni tra i piedi e sostanzialmente servi a fare “colore”. Gli attori si accorgono della tua presenza, ma non parlano di te per tre quarti del tempo. Non è concepibile che passi loro davanti, che interrompi i monologhi, che fai chiasso per i fatti tuoi.
Se invece vieni avanti, allora non sei più una comparsa. Sei un attore, un comprimario o anche un personaggio piccolo piccolo con una sola scena, una breve battuta: bene, DILLA!

Ho avuto questa netta impressione riguardo alle creature magiche del romanzo: l’autrice non ha deciso se dovevano essere attori o comparse. Col risultato che sono invadenti in maniera assurda senza che in realtà servano a niente. Assistiamo a una parata infinita di esseri strani senza che questi influenzino la storia in maniera significativa – o meglio, in maniera caratteristica, perché a inseguire i personaggi e tentare di divorarli avrebbero potuto essere benissimo animali selvatici del tutto normali.

Insomma, mi sono annoiata. Ci sono buoni spunti, alcuni momenti interessanti, ma scompaiono nella superficialità generale. E’ tutto vago, non ci si emoziona. Lo stile rimane pesante, didascalico, anche nelle scene che dovrebbero essere veloci, e questo frena tutto.

Il particolare dei cappucci, poi, mi ha esasperata. Occhio, è un piccolo spoiler.
Sin dall’inizio vediamo che si dà grande importanza a che tutti tengano dei cappucci speciali quando sono all’esterno, la gente sembra terrorizzata da quello che potrebbe accadere altrimenti, e in un episodio capiamo che questa paura ha a che fare con le “tempeste magiche” che di tanto in tanto si verificano. Bene, pensa il lettore, si vede che se qualcuno si fa sorprendere a capo scoperto durante una di queste tempeste gli accade qualcosa di orribile…che so, impazzisce, viene rapito dai folletti, muta in un mostro ripugnante?
Ecco infine la verità: le emozioni forti potrebbero “impressionare” l’atmosfera, facendo sì che per molti secoli a venire l’immagine della persona compaia in quel luogo ogni volta che arriva la tempesta. Aaaahhh che paura, che orrore, che…un momento.
Ma chi se ne frega?!
Certo, la cosa ha creato non pochi problemi in passato: siti in cui sorgevano città sono ormai invivibili perché popolati da questi “fantasmi”. Ma ce li vedo proprio, gli abitanti di oggi a vivere angosciati dal timore di far paura agli ipotetici posteri!

Il finale lascia la vicenda principale (per chi ancora se la ricorda) in sospeso, com’è ovvio, ma non penso di affrettarmi a leggere il seguito. Tanto me lo immagino: per 200 pagine mi descriverà come si vive in una casa, con tutto l’elenco dei lavori domestici, o qualcosa del genere.

Per il momento, passo.

lunedì 12 ottobre 2009

Eccoo-ooohh!!!


Sento che ci siamo, qualcosa sta venendo fuori dalle mie fatiche romanzesche…romanzate…romanziformi.
Sono in una fase di riflessione, quella in cui non procedo con lo scritto vero e proprio ma cerco di programmare e definire le cose che lascio sempre indietro.

Tempo fa sono stata una giornata a calcolare le fasi lunari del mio mondo.
Superfluo, visto che posso inventarmele come mi pare e nessun lettore sarebbe in grado di rimproverarmi un eventuale errore? Forse superfluo, ma non inutile, no, perché il mio mondo ha due lune con un ciclo sfasato, e rendermi conto che le notti in cui entrambe le lune sono invisibili sono rare fa sì che io possa attribuire a queste notti buie un significato speciale. Insomma, sono particolari che suggeriscono idee nuove.

Ieri mi sono messa d’impegno a disegnare una mappa in scala. Anche se non ho intenzione di annoiare i lettori con viaggi avanti e indietro, bisogna averla, un’idea delle distanze.
E anche se c’è una spiegazione di come popoli diversi siano finiti a vivere stipati lì, non è bello dare l’impressione che il mondo si giri a piedi in pochi giorni, incrociando decine di civiltà diverse che stanno gomito a gomito.
Ora, il continente mi viene grande circa 1200x1000 chilometri. Sarà sufficiente? A me sembra grande, per un popolazione tutto sommato alquanto scarsa. Non voglio che il clima cambi drammaticamente dal nord al sud, quindi direi che siamo al limite.

Ora devo stare attenta. Mi manca poco per chiudere la prima metà e non mi devo fermare, le aggiunte e le modifiche ai primi capitoli le devo fare dopo. Non mi devo perdere dietro alle date, poi la cronologia si aggiusta, devo scrivere…accidenti…

E ho anche trovato un titolo…UN TITOLOOO…
Se non basta questo a darmi una nuova sferzata di energia!!!

Buongiorno, sono il titolo