mercoledì 23 settembre 2009

Spacchiamo tuuutto!!!

Oggi le Ferrovie dello Stato hanno raggiunto un picco di demenzialità mai visto.

O, ad essere onesti, forse è solo colpa della stazione della mia città, funestata da lavori in corso da giusto quei due anni e mezzo circa, durante i quali le più assurde deviazioni sono state imposte al traffico pedonale dei viaggiatori in ingresso e in uscita, prima fra tutte la demolizione delle scale con alternativa arrampicata in mezzo all’aiuola con pendenza di 45 gradi.

Uscendo di casa addocchio la locandina coi titoli di giornale: CHIUSI I BINARI DEI PENDOLARI.
Andiamo bene, penso, già arrivo a rotta di collo –grazie alle perfette e studiate coincidenze tra orari di arrivo bus nel piazzale e partenza treni sui binari- se ora mi hanno cambiato il binario e hanno scelto uno di quelli lontani in fondo mi scordo di prendere il diretto, devo già da ora mettere in conto di perdere mezz’ora di lavoro…

Trovo infatti uno spettacolo desolante: nastri a strisce rosse e bianche, transenne di plastica gialla chiudono le scale che conducono al solito marciapiede, che risulta inagibile per ignoti motivi.

Ma…dov’è il treno?
E’ sempre lì, solo soletto. Nessuno lo ha avvisato. Fischia, vorrebbe partire, è indeciso…
Come si fa a salirci?

In mancanza –per adesso- di tecnologie sicure per il teletrasporto, non resta che strappare le stupide strisce, calciare quel giallume insensato che ci occlude l’accesso all’agognata meta e, in generale, dar prova di grande inciviltà.

Che purtroppo sembra essere diventata l’unica strategia valida di sopravvivenza urbana.

lunedì 21 settembre 2009

Mamme dietro l’angolo

Con questo post inauguriamo “L’Angolo della Zitella”, lamentele acide, rancorose e totalmente inutili sulle piccole cose irritanti.

Immaginiamo una signora che ha appena fatto la spesa: porta un sacchetto con uova, conserve in vasetti di vetro e simili. Costei avanza con cautela, attenta a dove mette i piedi, scende/sale piano le scale, fa attenzione a non scontrare i passanti, i muri, gli elementi architettonici.

Ora strappiamole di mano il sacchetto (EEEK AL LADRO! No, aspetti, è solo una dimostrazione…) e sostituiamolo con qualcosa di completamente diverso, tipo il figlioletto neonato.

Ecco là! Meglio, vero? Adesso la signora può avanzare sicura, quasi di corsa, berciando con qualcuno dietro di sé, parlare al cellulare scapicollandosi su terreni accidentati senza guardare dove va nemmeno per sbaglio, occupare l’intero marciapiede e anche un pezzo di quello di fronte, ballare in mezzo alla piazza, tanto lei ha la precedenza!

Perché l’aver prodotto questo meraviglioso fagottino di dolcezza, l’aver compiuto un miracolo che nessun altro sa fare, l’ha trasformata nella Prescelta davanti alla quale l’intero creato –oggetti inanimati compresi- deve cedere il passo. Quasi come la tipa che mangia quel gelato nella metropolitana. Tappeti rossi, fanfare…

Ok, neo (o futura!) mamma, ascoltami. Naturalmente io mi ritraggo e faccio attenzione al posto tuo, sebbene assai poco mi preoccupi la sorte del tuo pargolo (se non preoccupa te…), perché mi hanno insegnato l’educazione.
Ma non ci sono solo io per strada.

Fermati un attimo e rifletti su cosa puoi trovare la prossima volta dietro l’angolo.
Qualcuno che non può scansarsi, tipo uno con le stampelle.
Qualcuno malvagio e gretto, tipo quello che non vuol buttarsi nel fosso o farsi investire dall’autobus per risparmiarti la scomodità di rallentare un momento.
Qualcuno distratto o lento di riflessi.
Qualcuno a cui tu dovresti cedere il passo, tipo un non vedente.
Qualcuno che non capisce, tipo un cane.
Qualcuno a cui non importa nulla, tipo un palo della luce o un tombino aperto.
Qualcuno che non credi possa esistere ma invece c’è, tipo…te lo dico? Un’altra mamma.

Io, francamente, non vedo l’ora che vi incontriate.

domenica 6 settembre 2009

Concretezza

Ritengo di avere molto più talento per la scrittura che per il disegno.
Eppure, da quando mi è presa questa voglia di scarabocchiare e pasticciare coi colori mi sorprendo a imbrattare carta con più gusto di quanto talvolta non provi a comporre storie.
Come mai?

Ho paura sia un problema di concretezza.
Scrivere è una faccenda così terribilmente astratta, persino più della musica -che in fondo si esplicita per mezzo di vibrazioni e quindi è una faccenda molto fisica sebbene di primo acchito non lo sembri- ed è facile farsi prendere dallo sconforto.

Lavori, sgobbi sulle tue pagine, pensi fino a farti uscire il fumo dalle orecchie, correggi e riscrivi…e ti sembra sempre di non avere un bel niente in mano. Soprattutto nel caso di un romanzo, che è un lavorone che può impegnarti per anni.

Invece un disegno…qualche ora ed eccolo lì, bello finito, ed è una cosa vera che stringi tra le mani, bella o brutta che sia…ma conclusa.

Fa schifo, ma almeno è finito, chiuso, arrivederci.

Il che mi fa venire dubbi di altra natura.
Sono perfettamente in grado di vedere come le mie “opere d’arte” siano infantili e dilettantesche…e se anche la mia scrittura fosse così? Come faccio a saperlo?

E’ normale che rileggendo il racconto che ha vinto il concorso mi sembri (nella forma) più brutto di come lo ricordavo, che ci siano frasi che mi urtano e che cambierei subito?

martedì 1 settembre 2009

Racconto terribile e tristissimo

No, niente paura, non è quello che voglio infliggere qui, ma quello che a quanto pare è stato selezionato per un’antologia. Un mio racconto, per la precisione. Non ci credo ancora, non l’ho nemmeno detto alla mamma. Avevo persino letto male la mail, credevo di essere solo arrivata tra i finalisti (cosa che già mi faceva contenta), e solo dopo, quando mi si chiedevano liberatorie e dati vari (in un allegato intitolato “liberatoria vincitori”) sono tornata indietro a rileggere.

Perché partecipare a una gara, se non ci si crede? Ma io sono così. Adesso sono troppo emozionata, mi gira la testa, mi viene mal di pancia…

Questo lavoro è stato un parto travagliatissimo. Nasce da un incubo che alcuni anni fa mi fece realmente stare male per diversi giorni.
In questo sogno mia madre scompariva all’improvviso in maniera soprannaturale, io (che poi non ero davvero io) andavo avanti da sola per anni e anni finché alla fine non si scopriva che…
No, mica spoilero.
Ma quel finale è stato la mia spina nel fianco per tutto questo tempo. Avevo scritto tutto il resto in pochi giorni e non riuscivo a terminarlo. Sapevo come doveva finire, con questa chiusa terribile che era proprio quella del sogno, ma non trovavo le parole adatte. Era troppo triste, ed è difficile –per non dire impossibile- conservare la lucidità mentale necessaria per limare le frasi mentre si è impegnati a soffiarsi il naso e asciugarsi gli occhi. Non si vede nemmeno bene lo schermo.

Mi fa ancora un certo effetto, evidentemente tocca qualcosa di irrisolto nel mio profondo (come spesso fanno i sogni), non posso rileggerlo se sono in fase premestruale o simili. Ma alla fine ho deciso che andava finito e mandato via, e per costringermi mi sono assunta l’impegno di inviarlo a questo concorso, tanto per avere una scadenza.
Insomma, era un modo per sbarazzarmene.

Invece è piaciuto, ma guarda, e sarà la mia prima pubblicazione. Modesta, certamente, con una piiiccola casa editrice, non vedrò un soldo ma almeno non ho pagato io. Lo leggeranno in quattro gatti, va bene, lo so cosa dicono delle antologie di sconosciuti, ma pubblicare sul proprio blog è davvero molto meglio? Senza contare che chiunque può pubblicare qualsiasi roba sulle sue pagine, mentre passare una selezione è qualcosa di più.

O almeno questa dovrebbe essere l’idea.

Ma pensa, più di cento partecipanti e…

E non dico che concorso è, qui non c’è il mio vero nome quindi se va tutto a monte –o il racconto non piace- non lo sa nessuno e non faccio neanche brutta figura!

Adesso mi sono caricata, ho finito un altro racconto dal titolo Desideri volanti (che prima si chiamava Betty!), anche quello surreale e inquietante, anche quello con un finale che si presta a una doppia interpretazione, e sto meditando di tampinare qualcun altro con questo…uhm…vedremo.

PS: Sì, ok, avevo litigato con mia madre prima di andare a dormire e quella è stata la mia vendetta.
Questo però non glielo dirò mica, nel farglielo leggere.