Continua dal post del 29/4.
Dicevo, adoro questi libri perché l’incanto della Land e dei suoi abitanti ha subito fatto presa nel mio animo sensibile e bisognoso di conforto e sicurezza.
Naturalmente non tutto fila liscio neanche in questo mondo ovattato. La Land ha già conosciuto in passato brutti tempi e cataclismi, è già stata devastata rimanendo sterile e disabitata per secoli per via di un tremendo rito sacrilego invocato, pensate un po’, dal buono della storia, Lord Kevin.
Quando si dice la disperazione.
Perché è questo che Lord Foul fa alla gente.
E poi Thomas Covenant entra nella Land come il classico rinoceronte nella cristalleria (o era un elefante?): aggrappandosi alla convinzione che sia tutto un sogno, lui non vuole saperne, soprattutto quando quelli che incontra si ostinano a scambiarlo per la reincarnazione di una figura mitica e ad aspettarsi che lui usi un incredibile potere per aiutarli contro le forze del male.
E poi Thomas Covenant entra nella Land come il classico rinoceronte nella cristalleria (o era un elefante?): aggrappandosi alla convinzione che sia tutto un sogno, lui non vuole saperne, soprattutto quando quelli che incontra si ostinano a scambiarlo per la reincarnazione di una figura mitica e ad aspettarsi che lui usi un incredibile potere per aiutarli contro le forze del male.
No, Covenant ripete millanta volte che non gliene frega niente, non sa cosa fare, non sa usare questo potere, vuole stare in pace. Intorno a lui accadono disgrazie, muoiono come mosche, ma lui rifiuta di farsi coinvolgere, un lebbroso non può permetterselo.
Covenant insulta tutti, tratta male tutti, mette alla prova di continuo la pazienza di questa gente mite, commette persino un crimine odioso, all’inizio, che può far scappare la voglia di proseguire nella lettura. La giustificazione che dà a se stesso quando nonostante tutto prova un po’ di rimorso per il suo comportamento è che il suo coinvolgimento emotivo è proprio ciò che Lord Foul vorrebbe: il maligno in questo mondo agisce così, induce ciascuno a distruggere quello che ama.
Ergo, non affezionarsi alla Land è l’unica maniera per Covenant per essere sicuro di non rischiare di danneggiarla.
Ora, è facile per il lettore dargli addosso, disapprovare, far finta di non capire come mai il nostro non è felice di essere stato curato, di essere ammirato come un eroe e poter vivere una grande avventura ecc ecc…ma il fatto è che Covenant ha ragione.
E’ proprio questo quello che accadrà.
Come già detto, la lebbra è anche una metafora di ciò che pian piano succederà alla Land. Assisteremo a un progressivo disfacimento, alla corruzione di tutto, alla rovina e alla putrefazione volute da una mente malefica (macché Lord Foul, sto parlando dell’autore). Uno spettacolo straziante, per noi lettori e per il povero Covenant che si rende conto che tutto ciò è in gran parte colpa sua, che in qualche modo è tutto conseguenza più o meno diretta delle sue azioni, ed era proprio vero che se non avesse fatto niente sarebbe stato meglio…e noi ci sentiamo colpevoli con lui, come se il solo fatto di aver posato i nostri occhi impuri sulla Land fosse bastato a corromperla.
Perciò il finale è solo in parte consolatorio. Ciò che se n’è andato non tornerà mai più. Soprattutto l’innocenza. Perché è vero che un mondo così pulito non può esistere. Neanche lì.
Cosa rappresenta Lord Foul? Non vuole conquistare, non vuole comandare, vuole solo distruggere. E, se è vero che mette su un esercito di mostri, il modo in cui riesce veramente a fare del male è mettendo ciascuno di fronte ai propri limiti, alla propria inadeguatezza. E come può qualcuno da sempre convinto che i buoni propositi bastino per ottenere buoni risultati sopportare di scoprire che non è così, che si possono fare sacrifici sovrumani con la massima buona fede e fallire ugualmente?
Gli abitanti della Land non ci riescono. Perché sono troppo innocenti, e soccombono.
Lo capisce infine Covenant, lo capisce il personaggio che lo accompagna nel viaggio finale –che rinuncia alla vendetta e usa invece le sue ultime forze per aiutare un amico-, lo capisce Lord Mhoram quando ha l’intuizione sul fatto che sia proprio il loro giuramento di pace, il loro totale rifiuto della violenza a impedire ai nuovi Lord di proseguire nello studio dell’antica sapienza, a inibire il loro progresso.
L’unica cosa che può tener testa a Lord Foul è la speranza, ma non quella infantile di chi non conosce il male. Quella sofferta e conquistata di chi ha già visto il mondo crollargli addosso, di chi è già sprofondato, ha fatto tutto il giro ed è riemerso dall’altra parte. Di chi ha visto benissimo il male in faccia, lo ha subito e lo ha anche –purtroppo- commesso, ma rifiuta di farsene distruggere.
Non proprio una morale così banale e scontata, per un fantasy degli anni ’70, no?
Possibili critiche superficiali che non fanno piacere Donaldson a prescindere?
Il suo linguaggio è barocco, verboso, sempre molto impegnativo. Teniamo però presente che io –non un’amante delle lungaggini e delle descrizioni gonfiate- l’ho letto pure in un’altra lingua e non ho fatto tutta questa fatica. Penso però che in parte sia voluto: le maniere rudi di Covenant risaltano ancora di più in mezzo a gente che si esprime con toni poetici, usando molti termini desueti…Una sforbiciata ogni tanto gli avrebbe fatto bene, però, non lo nego. Spesso l’autore si perde a ripetere troppe volte concetti ormai chiari.
L’anello. Già, la storia gira intorno alla fede nuziale di Covenant, che nella Land avrebbe un irresistibile potere. Questo fa subito sbuffare alcuni: ecco il solito amuleto magico, per di più proprio in forma di un anello! Non poteva sforzarsi un po’, questo Donaldson?
In realtà la fede di oro bianco non è un oggetto magico qualsiasi, un oggetto magico “stupido” che può essere preso e usato da altri. Non è un oggetto magico affatto. Il potere sta interamente in Thomas Covenant, e alla fine si riduce tutto alla sua testardaggine, al non volergliela dare vinta né alla malattia né a Lord Foul.
E poi i nomi. Molti nomi di luoghi, popoli ecc ricordano vagamente alcune denominazioni di Tolkien. Credo sia un omaggio, o magari un fatto in parte involontario: questa è l’opera prima di Donaldson e lui stesso ammette di essere stato grandemente influenzato da Tolkien. Cosa c’è di male?
“Lord Foul” non è ovviamente il vero nome del nemico, ricordiamolo, ma solo uno dei modi in cui gli abitanti della Land lo chiamano. Anche noi abbiamo diversi e coloriti nomignoli per il diavolo.
…ok, Lord Kevin. Va bene. E’ un po’ come se fosse, per noi, “il grande Gigi” o qualcosa del genere. Ha lasciato perplessa anche me. Ma in fondo è un nome corto, semplice, le sillabe pronunciabili dall’apparato fonatorio umano non sono infinite e non è impossibile che per caso escano fuori nomi uguali in lingue di ceppo totalmente diverso. “Vercingetorige” sarebbe stato un altro paio di maniche.
Bene, questi erano i miei quattro pensieri sparsi su questa serie. Come vedete, sono impaziale e non mi sono fatta prendere la mano (anzi la penna) dalle mie preferenze personali. Non lo faccio mai.
Comunque non ho ancora finito.
Ora, è facile per il lettore dargli addosso, disapprovare, far finta di non capire come mai il nostro non è felice di essere stato curato, di essere ammirato come un eroe e poter vivere una grande avventura ecc ecc…ma il fatto è che Covenant ha ragione.
E’ proprio questo quello che accadrà.
Come già detto, la lebbra è anche una metafora di ciò che pian piano succederà alla Land. Assisteremo a un progressivo disfacimento, alla corruzione di tutto, alla rovina e alla putrefazione volute da una mente malefica (macché Lord Foul, sto parlando dell’autore). Uno spettacolo straziante, per noi lettori e per il povero Covenant che si rende conto che tutto ciò è in gran parte colpa sua, che in qualche modo è tutto conseguenza più o meno diretta delle sue azioni, ed era proprio vero che se non avesse fatto niente sarebbe stato meglio…e noi ci sentiamo colpevoli con lui, come se il solo fatto di aver posato i nostri occhi impuri sulla Land fosse bastato a corromperla.
Perciò il finale è solo in parte consolatorio. Ciò che se n’è andato non tornerà mai più. Soprattutto l’innocenza. Perché è vero che un mondo così pulito non può esistere. Neanche lì.
Cosa rappresenta Lord Foul? Non vuole conquistare, non vuole comandare, vuole solo distruggere. E, se è vero che mette su un esercito di mostri, il modo in cui riesce veramente a fare del male è mettendo ciascuno di fronte ai propri limiti, alla propria inadeguatezza. E come può qualcuno da sempre convinto che i buoni propositi bastino per ottenere buoni risultati sopportare di scoprire che non è così, che si possono fare sacrifici sovrumani con la massima buona fede e fallire ugualmente?
Gli abitanti della Land non ci riescono. Perché sono troppo innocenti, e soccombono.
Lo capisce infine Covenant, lo capisce il personaggio che lo accompagna nel viaggio finale –che rinuncia alla vendetta e usa invece le sue ultime forze per aiutare un amico-, lo capisce Lord Mhoram quando ha l’intuizione sul fatto che sia proprio il loro giuramento di pace, il loro totale rifiuto della violenza a impedire ai nuovi Lord di proseguire nello studio dell’antica sapienza, a inibire il loro progresso.
L’unica cosa che può tener testa a Lord Foul è la speranza, ma non quella infantile di chi non conosce il male. Quella sofferta e conquistata di chi ha già visto il mondo crollargli addosso, di chi è già sprofondato, ha fatto tutto il giro ed è riemerso dall’altra parte. Di chi ha visto benissimo il male in faccia, lo ha subito e lo ha anche –purtroppo- commesso, ma rifiuta di farsene distruggere.
Non proprio una morale così banale e scontata, per un fantasy degli anni ’70, no?
Possibili critiche superficiali che non fanno piacere Donaldson a prescindere?
Il suo linguaggio è barocco, verboso, sempre molto impegnativo. Teniamo però presente che io –non un’amante delle lungaggini e delle descrizioni gonfiate- l’ho letto pure in un’altra lingua e non ho fatto tutta questa fatica. Penso però che in parte sia voluto: le maniere rudi di Covenant risaltano ancora di più in mezzo a gente che si esprime con toni poetici, usando molti termini desueti…Una sforbiciata ogni tanto gli avrebbe fatto bene, però, non lo nego. Spesso l’autore si perde a ripetere troppe volte concetti ormai chiari.
L’anello. Già, la storia gira intorno alla fede nuziale di Covenant, che nella Land avrebbe un irresistibile potere. Questo fa subito sbuffare alcuni: ecco il solito amuleto magico, per di più proprio in forma di un anello! Non poteva sforzarsi un po’, questo Donaldson?
In realtà la fede di oro bianco non è un oggetto magico qualsiasi, un oggetto magico “stupido” che può essere preso e usato da altri. Non è un oggetto magico affatto. Il potere sta interamente in Thomas Covenant, e alla fine si riduce tutto alla sua testardaggine, al non volergliela dare vinta né alla malattia né a Lord Foul.
E poi i nomi. Molti nomi di luoghi, popoli ecc ricordano vagamente alcune denominazioni di Tolkien. Credo sia un omaggio, o magari un fatto in parte involontario: questa è l’opera prima di Donaldson e lui stesso ammette di essere stato grandemente influenzato da Tolkien. Cosa c’è di male?
“Lord Foul” non è ovviamente il vero nome del nemico, ricordiamolo, ma solo uno dei modi in cui gli abitanti della Land lo chiamano. Anche noi abbiamo diversi e coloriti nomignoli per il diavolo.
…ok, Lord Kevin. Va bene. E’ un po’ come se fosse, per noi, “il grande Gigi” o qualcosa del genere. Ha lasciato perplessa anche me. Ma in fondo è un nome corto, semplice, le sillabe pronunciabili dall’apparato fonatorio umano non sono infinite e non è impossibile che per caso escano fuori nomi uguali in lingue di ceppo totalmente diverso. “Vercingetorige” sarebbe stato un altro paio di maniche.
Bene, questi erano i miei quattro pensieri sparsi su questa serie. Come vedete, sono impaziale e non mi sono fatta prendere la mano (anzi la penna) dalle mie preferenze personali. Non lo faccio mai.
Comunque non ho ancora finito.
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