martedì 4 novembre 2008

Casa vuota

Vuotissima...ora che è venuta a mancare una parte importante dell'arredamento...


Ricordiamola nei suoi momenti migliori:


molto equilibrata


sui miei appunti



questo sembra un dipinto rinascimentale


già un po' smagrita ma ancora vivace

E soprattutto nella sua posa più suggestiva:



L'ultima immagine, di venerdì, mentre era impegnata a rovinare le foto per il post che stavo preparando...




Ciao, Metil!

sabato 25 ottobre 2008

Quando il gioco si fa duro…

Le avventure grafiche. Quei videogiochi dove la trama si svela a poco a poco, tu nei panni del personaggio principale devi esplorare gli ambienti, raccogliere oggetti, risolvere enigmi di vario tipo, parlare con quelli che incontri…
Mi pare che si vada verso una semplificazione sempre maggiore del genere.

Mi spiego: la trama è importante, certo, è la molla che spinge il giocatore a proseguire. Ma non può esserci solo quello. Nei giochi di questi ultimi anni vieniamo portati per mano passo passo alla soluzione. Non possiamo mai morire, nemmeno se è previsto un combattimento. Non possiamo perdere o usare male un oggetto che poi ci servirà, non possiamo sbagliare strada, o affrontare un nemico prima di avere tutto il necessario per batterlo. Il massimo della difficoltà degli enigmi consiste nel propinarci qualcosa di macchinoso, tipo ricomporre un puzzle con una figura difficile da ricordare, indovinare delle interminabili sequenze di numeri e simboli…Insomma, si può rimanere bloccati, mai fare qualcosa di sbagliato che ci precluda la possibilità di continuare.

Cioè, sono giochi a prova di scemo.

Chi è vecchio come me si ricorderà che non è stato sempre così?

Ho presente un certo The Colonel’s Bequest, in cui si impersonava una ragazza che, andata nella villa di campagna di un’amica, assisteva al massacro di tutti i parenti presenti…Lo scopo era ovviamente quello di scoprire chi stava uccidendo tutti (l’ho scoperto solo leggendo la soluzione su internet molti anni dopo). Ecco, se non facevi attenzione ti trovavi morta anche tu: potevi cadere dalle scale, precipitare nella tromba dell’ascensore, farti tagliare in due da un’alabarda, prendere una campana in testa ecc. Inoltre l’avanzamento dell’orologio era causato da un evento ben preciso, tipo il ritrovamento di un oggetto o l’ingresso in una stanza, ma il gioco se ne fregava se tu in quel periodo di tempo avevi raccolto tutto quello che dovevi prendere e avevi visto tutto quello che c’era da vedere. Più sì che no, quindi, la notte degli orrori terminava senza che tu avessi scoperto un tubo, e grazie di aver partecipato.



La tua camera da letto...


Ma vogliamo parlare di Cadaver, (che nonostante il nome non ha nulla di horror) gioco di avventura/azione in cui un nanetto deve sfuggire da un castello pieno di trappole?
Questo gioco (del 1991) è un incubo.
Puoi raccogliere quasi tutto quello che trovi, ma solo pochi oggetti serviranno davvero, e dunque trovarli in quel bailamme è già un’impresa. Gli enigmi sono stati concepiti da qualcuno fumato, e il gioco è bastardo.


Si inizia da qui!

Un esempio?
Primo livello (il più facile, perché piccolo, e ogni tanto trovate qualche pergamena che vi suggerisce cosa fare). Siete obbligati a calarvi in un pozzo, ma la corda cade con voi. Come uscire da lì? Semplice, dice un libro: dovete buttare 6 gemme verdi nel lago sotterraneo (ovvio, no?). 4 gemme sono lì, le altre dovreste averle raccolte prima. Non le avete? Oh…peccato. Ma no, visto che è l’inizio siamo buoni: in via del tutto eccezionale, abbiamo predisposto un’altra via d’uscita! Basta bere la pozione “giant jump” e aggrapparsi a quella catena che penzola…Non avete neanche la pozione, perché non eravate ancora arrivati alla stanza dove prenderla? Ma cosa giocate a fare???

Altro esempio? In un livello successivo, per aprire una porta basta solo azionare una leva in un lontano corridoio, un’altra leva nella stanza accanto nascosta dietro alle casse, una terza vicino alle scale, e poi di nuovo le altre due in sequenza inversa (e ovviamente ci saranno almeno un’altra ventina di leve sparse nel livello). Com’è che non ci ho pensato subito?

Vi mangiate la coscia di pollo e buttate la chiave della porta in bocca al mostro? Cavoli vostri. Avete sprecato l’incantesimo più forte con un mostro debole e ora siete disarmati col drago? Ahiahiahi. Avete toccato il teleporter prima di raccogliere gli altri oggetti, vi siete trovati da tutt’altra parte del livello e adesso non sapete come tornare indietro? Probabilmente non potete, grazie lo stesso.

Insomma, siete fregati e non potrete mai terminare il livello, ma il gioco non vi avvisa.

Però a Cadaver ci gioco ancora ogni tanto (gira su XP, anche se non benissimo…), Still Life l’ho abbandonato senza riuscire mai a finirlo. Ha una bella storia, ma non è divertente da giocare.

mercoledì 15 ottobre 2008

Roba grossa

Dunque, chi ha presente com’è fatto un flauto dolce granbasso?
Intanto, non molti hanno presente cosa sia un flauto dolce, eccetto che per qualche vaga reminiscenza di un pifferino usato a scuola.

In effetti quello è un flauto dolce soprano, seppure con una diteggiatura semplificata (che viene chiamata “tedesca” per distinguerla da quella originale, barocca).
Ma è solo la punta dell’iceberg.
E’ pieno di flauti di tutte le taglie, davvero. E le diteggiature sono due: in do o in fa, a seconda di qual è la tonalità in cui è tagliato lo strumento.

Ce n’è uno ancor più piccolo, il sopranino in fa, di comune utilizzo. L’ha usato Vivaldi, per il suo Concerto per Flautino (*).
Poi ne esiste anche uno veramente piccolo, il sopranino in do, ma è più una curiosità che altro, e ha davvero il suono di un fischietto.

Il contralto (in fa) è quello che ha conosciuto forse maggior gloria in epoca barocca e ancora nel settecento, poi affiancato dal flauto di voce, tagliato in re per tentare (ahimé inutilmente) di far concorrenza all’astro nascente, il flauto traverso barocco.

Ma non mancano le voci più gravi: negli insiemi le voci sottostanti venivano talvolta coperte dai flauti tenore (in do) e basso (in fa), anche se, ammettiamolo, con poca efficacia. Il flauto dolce ha una voce fievole, sempre meno udibile quando la frequenza del suono diminuisce, e i bassi al contrario devono essere ben sostenuti.

Eppure c’è stato chi ha ostinatamente avuto fiducia in questo strumento, ed è esistito quindi pure il flauto granbasso, in do, che suona un’ottava ancora sotto il tenore.
Che è davvero una cosa bellissima.
E non perché sia grosso e lungo, cari Gae ed Emi. Vi immagino, lì che vi sganasciate per le vostre battute da quattordicenni. E’ tutto merito di…ora vi spiego.

Facciamo un passo indietro.
Il mio amico Emilio ha un problema: vorrebbe comprare tanti strumenti, tanti dischi, tante partiture e così via, ma la moglie sa che lui ha le mani bucate, e per impedirgli di mandare in rovina le finanze di famiglia lo tiene sotto stretta vigilanza.
Quindi ogni tanto lui approfitta della nostra ventennale amicizia e del ruolo da fratello maggiore che ha sempre avuto nei miei confronti (potrebbe essere mio padre per età, ma come cervello certo no) per farmi queste proposte indecenti: far arrivare a casa mia gli strumenti che ordina, all’insaputa della signora, in modo da avere tempo di circuirla e presentarle gradatamente il nuovo acquisto.

Ma l’ultima volta ha giocato un tiro barbino anche a me.

Da tempo si era reso necessario che anch’io fossi pronta a suonare gli strumenti gravi, cosa che di solito non gradisco non per smania di protagonismo ma perché, come si può immaginare, pongono qualche problema di lunghezza di dita e di collo. Non voglio saperne del basso, ad esempio, perché davvero non arrivo agli ultimi buchi in fondo.
Così quando Emilio ha ordinato questo granbasso –un usato d’occasione- era implicito che, sebbene nominalmente fosse per il gruppo, avrebbe finito per suonarlo lui, a cui toccano tutti gli incarichi più ingrati e le figure barbine, noi ce ne approfittiamo perché lui è troppo buono ecc ecc.

Ma ecco, è arrivato questo pacco enorme e io non ho resistito ad aprirlo.
Dentro strati e strati di cartone c’era questa valigetta.
Il flautone era lì smontato, bello lucido, con un buon odore di vernice per legno, il lungo cannello per l’imboccatura, e tante belle chiavi metalliche luccicanti, invitanti…


E’ ovvio, lo strumento è lungo quasi un metro e mezzo, si può immaginare di imboccarlo senza un cannello ricurvo? O di tenerlo su senza tracolla? O di raggiungere i fori senza l’ausilio di tante belle chiavi metalliche luccicanti?
L’ho montato e ho iniziato a suonarlo.
Non è affatto pesante come si può pensare, non ci vuole tanto fiato e ha una gran bella voce. Le dita stanno comodissime, persino più comode che sul tenore! Grazie alle chiavi metalliche luccicanti…eheheh…che fanno clik clak mentre si suona…ooohhh…
Ho dunque sbagliato tutto nella vita fino ad ora?

Ci tenevo a produrre qualche immagine di me con il mio nuovo amore. Con l’autoscatto non è facile far entrare tutti e due nella foto. Più sì che no sono rimasta a mezza figura, oppure troppo vicina e l’unica cosa che giganteggia nel centro dell’inquadratura sono i miei ehm airbag anteriori, e questo non è quel genere di blog, quindi non è adatto.

Tanto per dare un’idea, mostro questa, anche per smentire chi dice che non voglio farmi vedere.


Che guardiii??!

Ecco, soddisfatti?

(*) Il Largo del Concerto per Flautino è un’altra di quelle cose che mi hanno fatto paura da bambina…Aahhh! No! Mi è tornata in mente quella melodia inquietante! EEEKK! Via dalla mia testaaaa!!!

lunedì 6 ottobre 2008

Assassina

Tranquilli...solo nel mio romanzo, il celebre Senza Titolo Vattelapesca.

Ho creato una razza già morta, tutti sterminati migliaia di anni fa da una catastrofe ambientale sul loro mondo e un incidente aereo sull'altro. Che tristezza.

Il che mi porta a riflettere: non sono capace di essere troppo cattiva coi miei personaggi, ho il cuore tenero. Non che non accadano loro cose brutte, non che non li tormenti, ma alla fine hanno sempre una possibilità, anche di redenzione. Mi sa che questo sia un difetto. Sono anche troppo tonta per inventarmi intrighi credibili, troppo tranquilla per storie di odio e di vendetta. Le scene di guerra e di azione pura mi annoiano a leggerle, figuriamoci se so crearle.

E allora cosa diavolo racconto? Devo darmi all'ippica?

In effetti, come nasce Senza Titolo Vattelapesca?
Boh.
Nei lontani anni ottanta, da un miscuglio di cartoni animati (i Puffi, diciamolo), fumetti e puro delirio, mi era sbocciata in testa questa idea molto vaga: il personaggio che non è inserito tra i suoi simili, vive male con loro e sembra disprezzarli, ma quando tutti gli altri vengono catturati dal nemico (che manco sapevo chi sarebbe stato) ecco che il nostro è l'unico che può salvarli, e si sacrifica per loro...

La cosa buffa e insieme inquietante è che, sebbene all’epoca di quella prima (parziale e catastrofica) stesura del mio futuro romanzo non avessi mai letto niente di fantasy, in essa si possono ritrovare riconoscibilissimi stereotipi classici del genere.
Quindi la mia idea di non leggere per non "farmi influenzare" non ha funzionato. Non avevo la più pallida idea di cosa fosse il fantasy, ma pensavo fosse meglio così, almeno non sarei caduta nella tentazione di imitare qualcuno. Invece, ecco lì lo stesso…ma che strano.
Da dove mi sono venuti questi spunti? Mah! Forse non sono in realtà stereotipi "fantasy" ma generici, presenti in ogni storia d’avventura, nelle fiabe…o magari sono archetipi che vivono nell’incoscio collettivo.

Molte cose sono cambiate da allora. Intanto ho letto un mucchio.
Ma non è stato facile neanche questo. Nel 1999 ho incontrato IL libro, quello che fa dire all’aspirante scrittore: va bene, basta, non potrò mai creare una cosa simile, vado a casa.
Quindi per parecchi anni ho abbandonato ogni velleità.

Ma una passione autentica non si fa seppellire, trova il modo di rientrare nella tua vita…
La storia ha continuato a vivere nella mia testa, anche se mi dicevo che era solo per gioco. La trama ha preso forma, l’ambientazione si è delineata e arricchita di particolari, i personaggi si sono staccati dal cartone diventando tridimensionali…e anche prepotenti, devo dirlo. Certi mi hanno presa alla sprovvista. Ad esempio, una gentile cameriera si è rivelata assetata di sangue, una ragazza timida e remissiva ha confessato un’insana ossessione…

Alla fine tutto questo mi ha travolto e ho dovuto rimettermi al lavoro, stavolta sul serio.
Non sono in grado di scrivere qualcosa al livello del libro che mi ha folgorata? Ok, ne prendo atto, allora non mi resta che scrivere qualcos’altro.

I "cattivi" erano il punto dolente di tutta la costruzione, quello che facevano non pareva avere altro scopo che quello di far andare avanti la trama come serviva a me, e questo non va certo bene. Una questione che continuavo a rimandare.
Tra l’altro, non trattandosi di un nemico unico, non avrei potuto nemmeno giocare la carta del poverino che è cattivo perché l’hanno picchiato da piccolo, gli manca l’orsacchiotto ecc ecc (roba che francamente mi ha proprio rotto le scatole: nel mainstream pretendo che il malvagio sia "umano", nel fantasy NO, anzi!).
E un intero popolo deve avere una bella motivazione per mettersi contro tutte le altre razze di un intero mondo.

Per fortuna ho avuto l’illuminazione, forse non sarà un’idea originalissima (no anzi non lo è, però non è neppure così trita e ritrita), ma mi sembra che funzioni.

Vabbè, quante chiacchiere fini a se stesse! Qualunque cosa pur di non lavorare seriamente.

martedì 30 settembre 2008

Brutta cosa l’orgoglio

Un fuoco indomabile

Era un giorno tranquillo pieno di pioggia e si avvertiva un'atmosfera di energia in una cantina piena di cipolle.
Era questo il laboratorio di Gorgo, un giovane dal carattere tormentato, che passava la vita a copiare partiture all'infinito, ripetendo: ''Ma chi se ne frega!''
Gorgo aveva costruito e regalato i cannelli a tutti nel regno, il popolo ormai ne aveva fin sopra i capelli di lui e lui radioso sempre rispondeva: ''Gli strumenti sono miei, posso anche infilarmeli...!''
Egli suscitò in tal modo la curiosità di Staefno, un dio della musica che quel giorno bussò alla sua porta, volgare.
Staefno era venuto a ad avvertirlo che gli oggetti che distribuiva facevano schifo e la gente li predeva per educazione.
Ma Gorgo pensò che Staefno fosse più bravo di lui a costruire ance e gli sbatté la porta in faccia, gridando: ''Spaccherei la faccia a tutti!''
Allora Staefno offeso si rivelò per quello che era in realtà, un terribile re ballerino, e lo maledisse: mai più Gorgo sarebbe riuscito a sbolognare i flauti ai creduloni!
''Vaff...!'', sbuffò Gorgo e tornò a modificare strumenti musicali senza posa.

Un cuore impetuoso

Era un mattino giulivo pieno di sole e si avvertiva un'atmosfera di tensione in un castello sullo strapiombo.
Era questo il rifugio segreto di Gioio, un giovane dal carattere umile, che passava la vita a piegare tubi all'infinito, ripetendo: ''Ma chi se ne frega!''
Gioio aveva generosamente aggiustato come voleva lui le cornamuse a tutti in città, il popolo ormai voleva cacciarlo e lui sospettoso sempre sospirava: ''Ma chi se ne frega!''
Egli suscitò quindi la gelosia di Gaeanto, un grasso gnomo irridente che quel giorno bussò alla sua porta, tormentato.
Gaeanto era venuto a chiedergli consiglio su come migliorare i cornetti.
Ma Gioio temette che Gaeanto fosse più bravo di lui a modificare strumenti musicali e gli sbatté la porta in faccia, gridando: ''Vaff...!''
Allora Gaeanto offeso si rivelò per quello che era in realtà, un potentissimo fratellastro ambizioso, e lo maledisse: mai più Gioio sarebbe riuscito a passeggiare nel bosco senza cadere a capofitto in una legnaia!
''Chi è 'sto gay!'', sbuffò Gioio e tornò a modificare strumenti musicali senza posa.

Un principe giulivo

Era un mattino volgare pieno di sole e si respirava un'atmosfera di energia in un mercatino dell'usato.
Era questo il laboratorio di Gorigio, un principe dal carattere silenzioso, che passava la vita a costruire ance all'infinito, ripetendo: ''Chi è 'sto gay, perche' deve fare il cu*o a noi!''
Gorigio aveva abbondantemente fatto a pezzi i flauti a tutti nel villaggio, il popolo ormai lo adorava e lui ritroso sempre sospirava: ''Vaff...!''
Egli suscitò quindi la curiosità di Ghielmi, un oscuro signore del caos che quel giorno bussò alla sua porta, radioso.
Ghielmi era venuto a chiedergli aiuto su come migliorare i flauti.
Ma Gorigio pensò che Ghielmi fosse più bravo di lui a segare pezzi di legno e gli sbatté la porta in faccia, gridando: ''Ma lui che c...o ci sta a fare!''
Allora Ghielmi indignato si rivelò per quello che era in realtà, un terribile grasso gnomo irridente, e lo maledisse: mai più Gorigio sarebbe riuscito a pronunciare una sola frase priva di bestemmie!
''Ma chi se ne frega!'', sbuffò Gorigio e riprese a copiare partiture senza posa.

Creato col il Polygen su una tragica storia vera. Potrei andare avanti all’infinito…

mercoledì 24 settembre 2008

Tubetti birichini

I nostri due Power-Prep, da non confondersi coi Power Rangers...
Affettuosamente chiamati PP2 e PP3.


Tic. Titic. Gniii! TAK! Vumm…vumm…vumm…

Partito. E’ confortante. Anche bello da vedere. Tante lucine che lampeggiano, un bel rumore ritmico, tanti tubicini di teflon. Decine di tubicini che escono e rientrano da ogni dove, per misteriosi pertugi, tutti pulsanti a tempo con la pompa mentre il liquido viene spinto in circolo.

Vumm…vumm…Ma che roba, chissà come hanno fatto a inventare questa diavoleria. Cioè, uno si mette a tavolino…oohhh ci sono anche delle bolle d’aria nei tubetti, e si muovono anche loro a tempo! Però se questo fosse un paziente sarebbe morto, con quelle bolle.

Vumm…Meno male che invece i campioni in soluzione non se ne fanno niente. Che belli che sono, lì nelle provette, si vede proprio che spasimano per essere risucchiati dai tubicini, portati via dall’esano, e purificati nelle colonnine di silice, allumina e carbone attivo. Non chiedono altro!

Trallallallà…firulì firulà…

Non dà altrettanta soddisfazione del rotavapor, quando condensano i primi vapori e ricadono colando nel pallone di raccolta, ma è abbastanza avvincente.

Vumm…

Eh? Eeeehhhh? Che diavolo c’è? Cavoli, se sapete come rovinare un divertimento. Uno non può stare un po’ qui impalato a fissare una macchina? Sempre ‘sta fissa di interagire gli uni con gli altri.

E per dire cosa, eh?

"Buongiorno" con aria ebete? Magari col casco ancora in testa?

*sigh* Ciao, Alfredo…

Attenzione: ora immagini forti…
Il PP2 NUDO!

giovedì 18 settembre 2008

Obiettivi, promesse, panzane

Se mi domandassero: “che tipo di persone ammiri?” cosa potrei rispondere?
Cos’è in realtà l’ammirazione?

Dallo Zingarelli:

Ammirazione: Sentimento di grande stima, considerazione.

Chi mai può suscitare in me stima e considerazione?
Be’, indubbiamente chi si dimostra superiore a me in un campo di mio interesse, che eccelle in un’attività a cui io do valore. Un bravo scenziato, un grande scrittore, un musicista dotato.
E se invece di considerare abilità tecniche in campi specifici ci addentriamo invece nell’esaminare la persona, allora la risposta è scontata e –penso- comune un po’ a tutti: ammiro coloro che non perdono fiducia nell’umanità nonostante tutto, che compiono i piccoli miracoli quotidiani, che fanno del bene in silenzio senza neanche avere coscienza della straordinarietà del loro agire.

Non c’è dubbio, questa gente merita stima e considerazione, e magari riconoscenza.
Ma è tutto qui?
Io posso pensare: che bravo questo ricercatore che ha scoperto il vaccino…che eroe questo ragazzo orfano che alleva da solo la sorellina…che coraggio andare a curare i feriti in zona di guerra…
Ok, ma diciamo la verità, li ammiro da lontano. Sono ben lieta che esistano anche queste persone, che siano molte più di quanto non sembrino e forse molte più dei delinquenti che finiscono sul giornale, ma non è che mi sveglio la notte per il cruccio di non essere come loro.

Io davo alla parola ammirazione un significato un po’ diverso, più emotivo. Doloroso, appunto. E’ quando incontri qualcuno che ti fa venire da piangere perché non sei così, perché anche se provi e riprovi non ci riesci, ti mancano le sue doti spirituali e morali. Ma nello stesso tempo, pure in questo rammarico, sei contento che queste persone invece ci riescano, vederle –anche se tu sei escluso da questo stato di grazia- ti riconcilia comunque col mondo.

Molti anni fa, da adolescente piena di problemi, alla domanda avevo risposto: chi è spigliato, chi è sicuro di sé.
Ma mi sbagliavo, quella non era ammirazione, era invidia, pura e semplice.
Chi è zoppo non “ammira” quelli che riescono a correre e saltare senza sforzo, neanche un po’. Perché dovrebbe? Anzi, magari non gli stanno neanche troppo simpatici. Se non li vedesse sarebbe più contento.
L’ammirazione è rispetto e reverenza che vanno meritati.

Ecco: chi è capace di lavorare duro per tenere fede ai suoi propositi, chi lotta per mantenere le promesse anche se nessuno guarda, anche se le ha fatte solo a se stesso, crollasse il mondo. Questi sono i miei eroi.
E non sono affatto degli zucconi.
Sarà bello invece essere una banderuola incapace di concentrarsi come la sottoscritta, e avere sempre la sensazione di sprecare il proprio tempo?

Non mi resta che provare, su questo blog, una tecnica in stile di gruppo di auto-aiuto.
Visto che le promesse che mi faccio da sola valgono meno di zero, magari se mi impegno pubblicamente avrò un po’ più di pudore.

Questo è il senso della nuova colonna che è spuntata qui di fianco, quella degli obiettivi che vorrei prima o poi portare a termine. Comprende anche cose serie che non dipendono del tutto da me, ma per le altre…chiedo l’assistenza di chi mi legge. Se trascorrono i mesi e non vedete mai cambiamenti siete autorizzati, anzi siete pregati di insultarmi e dirmi che sono una pataccara indegna del minimo rispetto.

Forse così riuscirò a mettermi a scrivere anziché giocare a Zuma o gingillarmi con le mie famiglie simmiche.
Adesso però no perché c’è il compleanno di mia mamma, devo studiare per il concorso, abbiamo le prove di un concerto, piove, ho sonno aaahhh…