mercoledì 31 dicembre 2008

Il primo giorno di una nuova era

Stamane lo struscio della banda magnetica e il bip della macchinetta al passaggio del cartellino –che possiedo già da cinque anni e mezzo- hanno sancito e consacrato il mio nuovo contratto a tempo indeterminato.

Così, dopo soli dodici anni e diciassette giorni dalla laurea, posso finalmente tirare un sospirone di sollievo e smettere di preoccuparmi della mia fonte di sostentamento.

Non mi sento euforica come dovrei, forse a causa della tensione di un due anni passati ad aspettare il concorso e a temere di rompermi una gamba proprio quel giorno, lo stress degli esami, l’attesa dei risultati ecc ecc. Sono stanca morta.

Poi il sentire certi discorsi mi ha suscitato una riflessione.

Non dovrebbero i lavoratori essere tutti uguali?

Ma se fossimo nel privato…vediamo, mi risulta che dopo un tot di anni passati a contratto per legge si viene assunti, oppure mandati via una volta per tutte, ma in tal caso l’azienda non ci può sostituire tanto facilmente.
E in ogni caso, se il datore di lavoro si sveglia e vuole assumere personale stabile, deve comunque prima regolarizzare i precari di quella categoria, altrimenti non se ne parla neanche, non deve neanche pensare di fare colloqui a gente esterna. E quando li regolarizza, li regolarizza, senza rompere con prove ed esami: se li ha tenuti (e magari riconfermati più volte) fino a quel momento sono persone già selezionate e conosciute, no?

In un’azienda privata sarebbe stato un nostro sacrosanto diritto entrare di ruolo dopo anni di contratti a termine, senza se né ma, e tutti sarebbero stati d’accordo e felici per noi.

Mi sbaglio?

Invece qui siamo degli imbucati, dei raccomandati, gente che è entrata di straforo con un concorso farlocco, in sostanza dei barboni a cui hanno fatto l’elemosina.

Così va la vita, perlomeno in Italia.

Buon anno anche a voi, amici colleghi!

venerdì 26 dicembre 2008

Natale in musica, che divertimento!

I concerti di Natale sono qualcosa di allegro e festoso, che ti riconcilia col mondo, giusto?
Sì, se non si li considera dal punto di vista dei concertisti.

Da quella prospettiva sono un concentrato di tutti i problemi che si manifestano già normalmente nel corso della preparazione di uno spettacolo, il tutto però esacerbato dalla consapevolezza di dover fare i conti con una concorrenza spaventosa nelle stesse serate, dall’impossibilità di rimandare qualora non ci si sentisse pronti, dalla frustrazione dell’avere a che fare con turbe di personaggi che se la tirano da professionisti ma che col cavolo che rinunciano alla gita dell’Immacolata o al pranzo domenicale in famiglia per fare una prova in più.

Vediamo cosa accadeva, tanto per fare un esempio, cinque anni fa, a un concerto a cui io non partecipavo ma che ho rischiato di andare a sentire se il tempo da lupi non mi avesse fatto cambiare idea. Questo è il resoconto integrale mandatomi da un amico il giorno seguente.


Oggetto: grande
Data: martedì 23 dicembre 2003 19.41

grandi nuove!! il tuo amore era a perugia con la squinzia, e si è dimenticato che ieri c'era il concerto! quando se ne è accorto, è partito come un razzo - arriva alla chiesa 10 minuti prima del concerto "ma Gaetano, e il cembalo che dovevi portare?" - parte di corsa, prende il cembalo, lo fa cadere a terra e lo rompe!!
arriva con dei pezzi di legno che non stavano insieme, così lasciamo perdere, proviamo con la pianola del prete ma ha una batteria che non si riesce a togliere, così fa tutto Virginio, incazzato come una lippa per non dire di Giorgio che si era tanto impegnato - un mezzo disastro.
Lui si scusa e scappa via ma Virginio ci raggruppa e dice "ma questa Monica, non è poi così bella, non vi pare?" il peggio è che io avevo fatto una battuta che se non mi conosceste poteva sembrare pesante e contro Gae, invece che affettuosa come il solito, e lei giù con una sghignazzata scomposta ...
Poi Virginio dice che però per i concerti di Pasqua non si facciano scherzi, devi tornare tu, ecc. Qualcuno gli dice ma allora ti piace e lui "meglio la mamma..."!!! Hai capito che roba?
(tristissima la storia del trombonista di Cairo, hai visto che è morto? che tristezza, 39 anni)



Per inciso, il “mio amore” è solo un modo di dire, poiché spesso mi trovo d’accordo con le sue posizioni, in contrasto con altre persone che manifestano in questo modo la loro infantile gelosia. La "squinzia" è Monika (con la k), fidanzata tedesca del Gae.


Il clavicembalo? E’ stato riparato, non temete, e ora suona assai meglio di prima. Non sapete che anticamente i costruttori bagnavano con secchiate d’acqua le tavole armoniche e le lasciavano fuori a gelare, proprio perché si creassero microfratture nella fibra del legno che miglioravano grandemente il timbro sonoro? E ci salivano anche sopra coi piedi…è tutto scritto. Non so dove, ma c’è, chiedetelo a Gae.

Tornando a noi, quest’anno ce la siamo cavata, sebbene la serata (di nuovo lunedì 22!) non fosse iniziata per il meglio.
Attendiamo l’arrivo della seconda macchina per partire tutti insieme, l’appuntamento è presso un distributore. Si può stare in mezzo al piazzale a luci spente? Ovviamente no. Ma il Gae è in ritardo di quasi mezz’ora, bloccato nel traffico poche centinaia di metri più indietro; quando finalmente Gae arriva, ci passa davanti e va, il buon Virginio fa per mettere in moto e seguirlo e invece gneeuwww…la batteria è morta. Che si fa? L’auto di Emi è sotto casa sua, e c’è il problema del chitarrone che di sicuro non ci sta…
Si richiama indietro Gaetano che era già sfrecciato come un missile alla volta di Cairo Montenotte, lui torna, accompagna Emi, noi aspettiamo quasi un’altra mezz’ora, arrivano, si trasbordano bagagli e strumenti e finalmente si parte. Meno male che avevamo preventivato di trovarci in chiesa con largo anticipo! Anche stavolta, come sempre, non c’è tempo di fare una prova intera, visto che già arriva la gente, e anche l’accordatura del clavicembalo è fatta in fretta e furia, vien voglia di buttarlo un po’ in terra e vedere se si mette a posto da solo.

Ma guardiamo il lato positivo: almeno non c’era Giorgio!

domenica 14 dicembre 2008

Il talento e l’impegno

E’ una di quelle discussioni senza fine, non è vero, domandarsi se per eccellere in una disciplina conti di più la predisposizione o il lavoro…ed è anche una questione oziosa, che lascia il tempo che trova.

E’ abbastanza ovvio che il talento da solo non serva a niente, come il minerale grezzo lasciato in miniera, così come ci si può ammazzare di fatica senza mai raggiungere livelli apprezzabili in una disciplina che –a quanto pare- non fa per noi.

Ci sono persone che sostengono che in realtà il talento non esista, sia solo una scusa inventata da chi non ha voglia di sgobbare.
A costoro chiederei come mai a parità di studio non otteniamo tutti lo stesso risultato. Come mai alcuni ottengono ottimi risultati senza studiare affatto. Se hanno mai visto un bambino di cinque anni ignaro di qualunque tecnica prendere una matita e fare un disegno pazzesco…

Nella realizzazione di qualunque attività dobbiamo fare i conti con una componente fisica non facilmente modificabile. Occorrono agilità, coordinamento muscolare, riflessi pronti, grande senso dell’equilibrio, magari altezza e prestanza. Occorre una bella voce, o buona vista.
Che se non c’è, non c’è.

L’orecchio musicale può essere esercitato e affinato, ma quello assoluto è un’anomalia genetica innata. Lo stesso è l’essere stonati (veramente stonati, che non va confuso col non saper cantare): chi nasce stonato ha una percezione distorta degli intervalli musicali, non se ne rende conto e non può farci nulla. E’ l’equivalente sonoro dell’essere daltonico. Inutile insistere.

Ma anche il mio centro del linguaggio può essere più o meno sviluppato e attivo, così come la parte del cervello che si occupa di fare i calcoli, per esempio: ecco che ciò influenzerà le mie attitudini in maniera solo in parte migliorabile con l’esercizio.

Insomma, affermare che tutti possiamo fare benissimo tutto è dire un’enorme boiata.

Potrebbe però essere vero che qualunque persona normodotata, se seguita e stimolata nel modo giusto, può raggiungere un livello minimo di sufficienza anche nelle discipline per cui si credeva negato. Chissà? Mi sto ricredendo.

Mi è capitato tra le mani un libro per bambini che insegna a disegnare figure fumettose. Seguendo le loro indicazioni in pochi tentativi sono passata da disegni come questo
a questo
Migliorerò più di così? Ne dubito, sono una delle persone più impedite del mondo col disegno, ci vuol tutto che non mi infili la matita nel naso e continuo a sedermi sopra la gomma. Ma è stata comunque una soddisfazione.

Ora mi domando: perché mai a scuola non ti insegnano veramente a disegnare con qualche esempio del genere, invece di darti un foglio bianco e mollarti lì ad arrangiarti per andare a chiacchierare con le altre maestre, causando patemi e frustrazioni che ti segneranno per gli anni a venire?

sabato 6 dicembre 2008

Violiniste e numeri primi

E’ da un po’ che volevo parlare del premio Strega, La solitudine dei numeri primi, appunto, di Paolo Giordano.
Esitavo perché mi sto ancora chiedendo che cosa ho letto.
Non un brutto libro, scorrevole, leggero…ma, appunto, non mi ha lasciato nulla.

Non è un romanzo generazionale, che racconti i tipici adolescenti di un certo periodo. Non è neppure una storia strampalata ma in qualche modo emblematica, che offra un aggancio alla realtà quotidiana di noi tutti. E’ la storia di due matti, i cui meccanismi mentali seguono percorsi incomprensibili (perlomeno per me), e che rimangono chiusi a qualunque influenza esterna, senza speranza di miglioramento.
E cosa mi dice un libro così?
E’ come osservare un muro.

Non era iniziato male! I primi due capitoli, dove facciamo conoscenza coi protagonisti, Alice e Mattia -due bambini che stanno vivendo il più brutto giorno delle loro rispettive vite, vittime di altrettanti traumi che li segneranno per sempre-, promettevano bene, ma è finita lì. Perché immediatamente dopo ritroviamo i due, cresciuti e trasformati in psicotici gravi con cui non è possibile alcuna vera immedesimazione da parte del lettore.

E l’autore dovrebbe imparare che se introduco un personaggio che è un cretino irritante, anche se lo riempio di problemi e traumi rimane sempre un cretino irritante, il lettore faticherà a stabilire un contatto emotivo con lui…e se poi tutto si riconduce a finte problematiche autoindotte causate dalla sua stessa cretinaggine e nulla più ecco che viene spontaneo mandarlo direttamente a quel paese.
Ecco, il vero dramma che ho visto io in questa storia è veder accostata l’autentica tragedia di Mattia –segnato a vita da una madre da telefono azzurro- con le paturnie di una fighetta insopportabile, quasi fossero la stessa cosa.

Si va avanti per curiosità, si osservano i due come bestie rare per vedere cosa mai combineranno nella loro situazione di squilibrio mentale, talvolta si prova per loro compassione o rabbia, ma non si viene coinvolti, non è possibile legare emotivamente con personaggi così sopra le righe.

Quello che manca è un punto di vista normale.

A dire il vero manca qualunque altro punto di vista: gli altri personaggi sono macchiette o stereotipi a tutto tondo: la domestica straniera, l’amico gay, la bulletta (*) della scuola bella, ricca e col corteggio di amichette sceme [ehi, ma c’e n’è una anche nel mio Adagio ma non tanto! Disdetta, potevo vincere ioooo!]

E siccome entrambi soffrono di problemi mentali seri da cui è impossibile che escano da soli, è ovvio che non potranno risolvere nulla. Eppure il libro si chiude con un sorriso, come se ci fosse stato un lieto fine. Contenti loro.

Ora passiamo alle pignolerie. Ovviamente sono sciocchezze che mi hanno infastidita dal momento che il libro non mi è piaciuto. Lascio ad altri valutarne l’effettiva gravità.

Ok, ho fatto le superiori più o meno negli stessi anni di Alice e Mattia, lo Scientifico, e non ho mai visto un laboratorio neanche di striscio. Ma va bene, supponiamo che la loro fosse una scuola con corsi sperimentali di biologia eccetera. Arrivo persino a credere che sia normale affidare un bisturi a un diciassettenne. Va bene, diciamo che è così.

Quello che è da incorniciare è il momento della laurea di Mattia: gli stringono la mano e voilà, ecco il diploma originale in pergamena già pronto sul momento, stampato a colori, con le firme (poste in anticipo) di tutti i notabili, il voto che avrebbe dovuto essere stato deciso sul momento…
Proprio non riesco a ricordare quanto ci hanno messo a consegnarmi il mio (ritirato al normale sportello della segreteria, dopo che una gentile lettera mi invitava a togliergli dai piedi in fretta i miei scartafacci prima che finissero nel riciclo), ma sono sicura che i tempi tecnici negli anni ‘90 si misurassero almeno in mesi.
Mi stupisce questa sparata da parte di uno che lavora in ambiente universitario.

E nel finale, Alice che si sdraia nel greto del fiume (magari fosse venuta la piena!), ricordando il giorno del suo incidente nella neve, e pensando che proprio come allora non sarebbe venuto nessuno…
Aveva una gamba a pezzi, frantumata in modo tale che per operarla le hanno lasciato una cicatrice fino sull’addome, non poteva muoversi in nessun modo e si stava assiderando: se non è venuto nessuno a tirarla fuori da là, come fa a essere viva?

Infine, ho trovato il linguaggio e lo stile un po’ troppo asettico, disadorno. Lo so che è quello che va di moda oggi, ma, combinato con le manchevolezze che ho elencato prima, non ha fatto che amplificare (per me) questa sensazione di freddezza e distacco nei confronti delle vicende narrate.
Insomma, già il contenuto è misero, almeno raccontalo bene!

Tutto il contrario di quanto mi è successo subito dopo con un altro libro che tratta anche quello di una malata di mente (pura coincidenza, non è il mio argomento preferito, giuro): Partitura d’addio di Pascal Mercier.

Anche qui c’è una matta, ma siamo su un altro pianeta, sia a livello narrativo che di coinvolgimento.
L’autore non ci abbandona da soli, non ci spiattella lì le turbe assurde della poverina per poi imboscarsi lasciandoci a pensare “boh, ma è scema questa…”, no, nessuno sa cosa accada nella testa della protagonista, nessuno pretende di spiegarlo, ne vediamo solo gli effetti.
La storia è raccontata dal padre disperato, che si sfoga con un occasionale compagno di viaggio appena conosciuto: attraverso di lui viviamo la tragedia di Lea, sprofondata inesorabilmente nella pazzia e nella psicosi, divorata negli anni dall’ossessione per quella che all’inizio era sembrata la sua ancora di salvezza, la musica.

Un libro intenso, straziante: non c’è stato limite ai sacrifici che quest’uomo è stato disposto ad affrontare, nulla che non fosse pronto a tentare per aiutare la figlia, ma paradossalmente proprio la sua condiscendenza, la sua pazienza, le pazzie che egli stesso ha compiuto per lei non hanno fatto altro che accelerarne la fine.

Perché Lea si comportava così? Non lo sappiamo; all’inizio ha perso la madre, certo, ma sin dal primo momento in cui posa gli occhi sul violino il suo atteggiamento appare morboso, ossessivo: la musica non è per lei un sostegno, uno sfogo, una gioia come dovrebbe essere –fatta salva la fatica dell’esercizio- ma al contrario la bambina vi si butta in modo aggressivo, violento, malsano.
Non ci vuole molto a comprendere come nella musica ella comprima una carica autodistruttiva enorme.

Ma, come dicevo, il perché non è importante, un perché a volte non c’è: la psiche di alcune persone è semplicemente fragile di natura. E l’arte, la musica, possono scatenare forze tremende.

Per giustizia, due piccole critiche anche qui.

Immagino proprio sia una goffaggine di traduzione, ma alla quinta volta che ho sentito paragonare la fragile Lea a una “piccola bambina” (contrapposta a…una bambina grande?) ho avuto voglia di urlare.

Rimango perplessa davanti alla necessità di questi violinisti di suonare sempre in piedi e tutto rigorosamente a memoria. Quale sarebbe lo scopo di questa tortura? Siamo qui per sentire la musica o vedere quanto siete bravi voi?
Insomma, se sclerate per fare i fighi, peggio per voi!

(*) Nota: c’è il bullo che ti dice “dammi la merenda o ti spacco la faccia” e quello che ti dice: “se vuoi essere mio amico devi fare questo e quello”…non è proprio la stessa cosa, però, eh? Del primo sei vittima, del secondo NO!

domenica 16 novembre 2008

Muggiti spaziali

Purtroppo ho preso il vizio di comprare su ebay…

(niente più macchie clandestine sullo sfondo delle foto, niente più zampe, niente…sniff…)


Cosa sarà?
Apriamolo...è inquietante...


Così è più riconoscibile?



No? Ok, lo spiego: è un theremin.

Purtroppo mi rendo subito conto che se questo costa la metà degli strumenti “veri” (da ordinare dall’America) c’è un motivo: intanto ha un’estensione molto limitata, poco più di un’ottava, e poi, soprattutto non è per nulla lineare…vale a dire che nelle posizioni più lontane le note sono a centimetri di distanza, mentre verso l’antenna si ammucchiano tutte insieme.

A ciò si somma la mia incapacità, non credo riuscirò a cavare niente da questo aggeggio.

Se ci si vuol fare del male, è disponibile la registrazione del mio primissimo approccio con lo strumento...sarebbe disponibile se riuscissi a linkarla.

Edit: vediamo se così si apre il file.

martedì 4 novembre 2008

Casa vuota

Vuotissima...ora che è venuta a mancare una parte importante dell'arredamento...


Ricordiamola nei suoi momenti migliori:


molto equilibrata


sui miei appunti



questo sembra un dipinto rinascimentale


già un po' smagrita ma ancora vivace

E soprattutto nella sua posa più suggestiva:



L'ultima immagine, di venerdì, mentre era impegnata a rovinare le foto per il post che stavo preparando...




Ciao, Metil!

sabato 25 ottobre 2008

Quando il gioco si fa duro…

Le avventure grafiche. Quei videogiochi dove la trama si svela a poco a poco, tu nei panni del personaggio principale devi esplorare gli ambienti, raccogliere oggetti, risolvere enigmi di vario tipo, parlare con quelli che incontri…
Mi pare che si vada verso una semplificazione sempre maggiore del genere.

Mi spiego: la trama è importante, certo, è la molla che spinge il giocatore a proseguire. Ma non può esserci solo quello. Nei giochi di questi ultimi anni vieniamo portati per mano passo passo alla soluzione. Non possiamo mai morire, nemmeno se è previsto un combattimento. Non possiamo perdere o usare male un oggetto che poi ci servirà, non possiamo sbagliare strada, o affrontare un nemico prima di avere tutto il necessario per batterlo. Il massimo della difficoltà degli enigmi consiste nel propinarci qualcosa di macchinoso, tipo ricomporre un puzzle con una figura difficile da ricordare, indovinare delle interminabili sequenze di numeri e simboli…Insomma, si può rimanere bloccati, mai fare qualcosa di sbagliato che ci precluda la possibilità di continuare.

Cioè, sono giochi a prova di scemo.

Chi è vecchio come me si ricorderà che non è stato sempre così?

Ho presente un certo The Colonel’s Bequest, in cui si impersonava una ragazza che, andata nella villa di campagna di un’amica, assisteva al massacro di tutti i parenti presenti…Lo scopo era ovviamente quello di scoprire chi stava uccidendo tutti (l’ho scoperto solo leggendo la soluzione su internet molti anni dopo). Ecco, se non facevi attenzione ti trovavi morta anche tu: potevi cadere dalle scale, precipitare nella tromba dell’ascensore, farti tagliare in due da un’alabarda, prendere una campana in testa ecc. Inoltre l’avanzamento dell’orologio era causato da un evento ben preciso, tipo il ritrovamento di un oggetto o l’ingresso in una stanza, ma il gioco se ne fregava se tu in quel periodo di tempo avevi raccolto tutto quello che dovevi prendere e avevi visto tutto quello che c’era da vedere. Più sì che no, quindi, la notte degli orrori terminava senza che tu avessi scoperto un tubo, e grazie di aver partecipato.



La tua camera da letto...


Ma vogliamo parlare di Cadaver, (che nonostante il nome non ha nulla di horror) gioco di avventura/azione in cui un nanetto deve sfuggire da un castello pieno di trappole?
Questo gioco (del 1991) è un incubo.
Puoi raccogliere quasi tutto quello che trovi, ma solo pochi oggetti serviranno davvero, e dunque trovarli in quel bailamme è già un’impresa. Gli enigmi sono stati concepiti da qualcuno fumato, e il gioco è bastardo.


Si inizia da qui!

Un esempio?
Primo livello (il più facile, perché piccolo, e ogni tanto trovate qualche pergamena che vi suggerisce cosa fare). Siete obbligati a calarvi in un pozzo, ma la corda cade con voi. Come uscire da lì? Semplice, dice un libro: dovete buttare 6 gemme verdi nel lago sotterraneo (ovvio, no?). 4 gemme sono lì, le altre dovreste averle raccolte prima. Non le avete? Oh…peccato. Ma no, visto che è l’inizio siamo buoni: in via del tutto eccezionale, abbiamo predisposto un’altra via d’uscita! Basta bere la pozione “giant jump” e aggrapparsi a quella catena che penzola…Non avete neanche la pozione, perché non eravate ancora arrivati alla stanza dove prenderla? Ma cosa giocate a fare???

Altro esempio? In un livello successivo, per aprire una porta basta solo azionare una leva in un lontano corridoio, un’altra leva nella stanza accanto nascosta dietro alle casse, una terza vicino alle scale, e poi di nuovo le altre due in sequenza inversa (e ovviamente ci saranno almeno un’altra ventina di leve sparse nel livello). Com’è che non ci ho pensato subito?

Vi mangiate la coscia di pollo e buttate la chiave della porta in bocca al mostro? Cavoli vostri. Avete sprecato l’incantesimo più forte con un mostro debole e ora siete disarmati col drago? Ahiahiahi. Avete toccato il teleporter prima di raccogliere gli altri oggetti, vi siete trovati da tutt’altra parte del livello e adesso non sapete come tornare indietro? Probabilmente non potete, grazie lo stesso.

Insomma, siete fregati e non potrete mai terminare il livello, ma il gioco non vi avvisa.

Però a Cadaver ci gioco ancora ogni tanto (gira su XP, anche se non benissimo…), Still Life l’ho abbandonato senza riuscire mai a finirlo. Ha una bella storia, ma non è divertente da giocare.

mercoledì 15 ottobre 2008

Roba grossa

Dunque, chi ha presente com’è fatto un flauto dolce granbasso?
Intanto, non molti hanno presente cosa sia un flauto dolce, eccetto che per qualche vaga reminiscenza di un pifferino usato a scuola.

In effetti quello è un flauto dolce soprano, seppure con una diteggiatura semplificata (che viene chiamata “tedesca” per distinguerla da quella originale, barocca).
Ma è solo la punta dell’iceberg.
E’ pieno di flauti di tutte le taglie, davvero. E le diteggiature sono due: in do o in fa, a seconda di qual è la tonalità in cui è tagliato lo strumento.

Ce n’è uno ancor più piccolo, il sopranino in fa, di comune utilizzo. L’ha usato Vivaldi, per il suo Concerto per Flautino (*).
Poi ne esiste anche uno veramente piccolo, il sopranino in do, ma è più una curiosità che altro, e ha davvero il suono di un fischietto.

Il contralto (in fa) è quello che ha conosciuto forse maggior gloria in epoca barocca e ancora nel settecento, poi affiancato dal flauto di voce, tagliato in re per tentare (ahimé inutilmente) di far concorrenza all’astro nascente, il flauto traverso barocco.

Ma non mancano le voci più gravi: negli insiemi le voci sottostanti venivano talvolta coperte dai flauti tenore (in do) e basso (in fa), anche se, ammettiamolo, con poca efficacia. Il flauto dolce ha una voce fievole, sempre meno udibile quando la frequenza del suono diminuisce, e i bassi al contrario devono essere ben sostenuti.

Eppure c’è stato chi ha ostinatamente avuto fiducia in questo strumento, ed è esistito quindi pure il flauto granbasso, in do, che suona un’ottava ancora sotto il tenore.
Che è davvero una cosa bellissima.
E non perché sia grosso e lungo, cari Gae ed Emi. Vi immagino, lì che vi sganasciate per le vostre battute da quattordicenni. E’ tutto merito di…ora vi spiego.

Facciamo un passo indietro.
Il mio amico Emilio ha un problema: vorrebbe comprare tanti strumenti, tanti dischi, tante partiture e così via, ma la moglie sa che lui ha le mani bucate, e per impedirgli di mandare in rovina le finanze di famiglia lo tiene sotto stretta vigilanza.
Quindi ogni tanto lui approfitta della nostra ventennale amicizia e del ruolo da fratello maggiore che ha sempre avuto nei miei confronti (potrebbe essere mio padre per età, ma come cervello certo no) per farmi queste proposte indecenti: far arrivare a casa mia gli strumenti che ordina, all’insaputa della signora, in modo da avere tempo di circuirla e presentarle gradatamente il nuovo acquisto.

Ma l’ultima volta ha giocato un tiro barbino anche a me.

Da tempo si era reso necessario che anch’io fossi pronta a suonare gli strumenti gravi, cosa che di solito non gradisco non per smania di protagonismo ma perché, come si può immaginare, pongono qualche problema di lunghezza di dita e di collo. Non voglio saperne del basso, ad esempio, perché davvero non arrivo agli ultimi buchi in fondo.
Così quando Emilio ha ordinato questo granbasso –un usato d’occasione- era implicito che, sebbene nominalmente fosse per il gruppo, avrebbe finito per suonarlo lui, a cui toccano tutti gli incarichi più ingrati e le figure barbine, noi ce ne approfittiamo perché lui è troppo buono ecc ecc.

Ma ecco, è arrivato questo pacco enorme e io non ho resistito ad aprirlo.
Dentro strati e strati di cartone c’era questa valigetta.
Il flautone era lì smontato, bello lucido, con un buon odore di vernice per legno, il lungo cannello per l’imboccatura, e tante belle chiavi metalliche luccicanti, invitanti…


E’ ovvio, lo strumento è lungo quasi un metro e mezzo, si può immaginare di imboccarlo senza un cannello ricurvo? O di tenerlo su senza tracolla? O di raggiungere i fori senza l’ausilio di tante belle chiavi metalliche luccicanti?
L’ho montato e ho iniziato a suonarlo.
Non è affatto pesante come si può pensare, non ci vuole tanto fiato e ha una gran bella voce. Le dita stanno comodissime, persino più comode che sul tenore! Grazie alle chiavi metalliche luccicanti…eheheh…che fanno clik clak mentre si suona…ooohhh…
Ho dunque sbagliato tutto nella vita fino ad ora?

Ci tenevo a produrre qualche immagine di me con il mio nuovo amore. Con l’autoscatto non è facile far entrare tutti e due nella foto. Più sì che no sono rimasta a mezza figura, oppure troppo vicina e l’unica cosa che giganteggia nel centro dell’inquadratura sono i miei ehm airbag anteriori, e questo non è quel genere di blog, quindi non è adatto.

Tanto per dare un’idea, mostro questa, anche per smentire chi dice che non voglio farmi vedere.


Che guardiii??!

Ecco, soddisfatti?

(*) Il Largo del Concerto per Flautino è un’altra di quelle cose che mi hanno fatto paura da bambina…Aahhh! No! Mi è tornata in mente quella melodia inquietante! EEEKK! Via dalla mia testaaaa!!!

lunedì 6 ottobre 2008

Assassina

Tranquilli...solo nel mio romanzo, il celebre Senza Titolo Vattelapesca.

Ho creato una razza già morta, tutti sterminati migliaia di anni fa da una catastrofe ambientale sul loro mondo e un incidente aereo sull'altro. Che tristezza.

Il che mi porta a riflettere: non sono capace di essere troppo cattiva coi miei personaggi, ho il cuore tenero. Non che non accadano loro cose brutte, non che non li tormenti, ma alla fine hanno sempre una possibilità, anche di redenzione. Mi sa che questo sia un difetto. Sono anche troppo tonta per inventarmi intrighi credibili, troppo tranquilla per storie di odio e di vendetta. Le scene di guerra e di azione pura mi annoiano a leggerle, figuriamoci se so crearle.

E allora cosa diavolo racconto? Devo darmi all'ippica?

In effetti, come nasce Senza Titolo Vattelapesca?
Boh.
Nei lontani anni ottanta, da un miscuglio di cartoni animati (i Puffi, diciamolo), fumetti e puro delirio, mi era sbocciata in testa questa idea molto vaga: il personaggio che non è inserito tra i suoi simili, vive male con loro e sembra disprezzarli, ma quando tutti gli altri vengono catturati dal nemico (che manco sapevo chi sarebbe stato) ecco che il nostro è l'unico che può salvarli, e si sacrifica per loro...

La cosa buffa e insieme inquietante è che, sebbene all’epoca di quella prima (parziale e catastrofica) stesura del mio futuro romanzo non avessi mai letto niente di fantasy, in essa si possono ritrovare riconoscibilissimi stereotipi classici del genere.
Quindi la mia idea di non leggere per non "farmi influenzare" non ha funzionato. Non avevo la più pallida idea di cosa fosse il fantasy, ma pensavo fosse meglio così, almeno non sarei caduta nella tentazione di imitare qualcuno. Invece, ecco lì lo stesso…ma che strano.
Da dove mi sono venuti questi spunti? Mah! Forse non sono in realtà stereotipi "fantasy" ma generici, presenti in ogni storia d’avventura, nelle fiabe…o magari sono archetipi che vivono nell’incoscio collettivo.

Molte cose sono cambiate da allora. Intanto ho letto un mucchio.
Ma non è stato facile neanche questo. Nel 1999 ho incontrato IL libro, quello che fa dire all’aspirante scrittore: va bene, basta, non potrò mai creare una cosa simile, vado a casa.
Quindi per parecchi anni ho abbandonato ogni velleità.

Ma una passione autentica non si fa seppellire, trova il modo di rientrare nella tua vita…
La storia ha continuato a vivere nella mia testa, anche se mi dicevo che era solo per gioco. La trama ha preso forma, l’ambientazione si è delineata e arricchita di particolari, i personaggi si sono staccati dal cartone diventando tridimensionali…e anche prepotenti, devo dirlo. Certi mi hanno presa alla sprovvista. Ad esempio, una gentile cameriera si è rivelata assetata di sangue, una ragazza timida e remissiva ha confessato un’insana ossessione…

Alla fine tutto questo mi ha travolto e ho dovuto rimettermi al lavoro, stavolta sul serio.
Non sono in grado di scrivere qualcosa al livello del libro che mi ha folgorata? Ok, ne prendo atto, allora non mi resta che scrivere qualcos’altro.

I "cattivi" erano il punto dolente di tutta la costruzione, quello che facevano non pareva avere altro scopo che quello di far andare avanti la trama come serviva a me, e questo non va certo bene. Una questione che continuavo a rimandare.
Tra l’altro, non trattandosi di un nemico unico, non avrei potuto nemmeno giocare la carta del poverino che è cattivo perché l’hanno picchiato da piccolo, gli manca l’orsacchiotto ecc ecc (roba che francamente mi ha proprio rotto le scatole: nel mainstream pretendo che il malvagio sia "umano", nel fantasy NO, anzi!).
E un intero popolo deve avere una bella motivazione per mettersi contro tutte le altre razze di un intero mondo.

Per fortuna ho avuto l’illuminazione, forse non sarà un’idea originalissima (no anzi non lo è, però non è neppure così trita e ritrita), ma mi sembra che funzioni.

Vabbè, quante chiacchiere fini a se stesse! Qualunque cosa pur di non lavorare seriamente.

martedì 30 settembre 2008

Brutta cosa l’orgoglio

Un fuoco indomabile

Era un giorno tranquillo pieno di pioggia e si avvertiva un'atmosfera di energia in una cantina piena di cipolle.
Era questo il laboratorio di Gorgo, un giovane dal carattere tormentato, che passava la vita a copiare partiture all'infinito, ripetendo: ''Ma chi se ne frega!''
Gorgo aveva costruito e regalato i cannelli a tutti nel regno, il popolo ormai ne aveva fin sopra i capelli di lui e lui radioso sempre rispondeva: ''Gli strumenti sono miei, posso anche infilarmeli...!''
Egli suscitò in tal modo la curiosità di Staefno, un dio della musica che quel giorno bussò alla sua porta, volgare.
Staefno era venuto a ad avvertirlo che gli oggetti che distribuiva facevano schifo e la gente li predeva per educazione.
Ma Gorgo pensò che Staefno fosse più bravo di lui a costruire ance e gli sbatté la porta in faccia, gridando: ''Spaccherei la faccia a tutti!''
Allora Staefno offeso si rivelò per quello che era in realtà, un terribile re ballerino, e lo maledisse: mai più Gorgo sarebbe riuscito a sbolognare i flauti ai creduloni!
''Vaff...!'', sbuffò Gorgo e tornò a modificare strumenti musicali senza posa.

Un cuore impetuoso

Era un mattino giulivo pieno di sole e si avvertiva un'atmosfera di tensione in un castello sullo strapiombo.
Era questo il rifugio segreto di Gioio, un giovane dal carattere umile, che passava la vita a piegare tubi all'infinito, ripetendo: ''Ma chi se ne frega!''
Gioio aveva generosamente aggiustato come voleva lui le cornamuse a tutti in città, il popolo ormai voleva cacciarlo e lui sospettoso sempre sospirava: ''Ma chi se ne frega!''
Egli suscitò quindi la gelosia di Gaeanto, un grasso gnomo irridente che quel giorno bussò alla sua porta, tormentato.
Gaeanto era venuto a chiedergli consiglio su come migliorare i cornetti.
Ma Gioio temette che Gaeanto fosse più bravo di lui a modificare strumenti musicali e gli sbatté la porta in faccia, gridando: ''Vaff...!''
Allora Gaeanto offeso si rivelò per quello che era in realtà, un potentissimo fratellastro ambizioso, e lo maledisse: mai più Gioio sarebbe riuscito a passeggiare nel bosco senza cadere a capofitto in una legnaia!
''Chi è 'sto gay!'', sbuffò Gioio e tornò a modificare strumenti musicali senza posa.

Un principe giulivo

Era un mattino volgare pieno di sole e si respirava un'atmosfera di energia in un mercatino dell'usato.
Era questo il laboratorio di Gorigio, un principe dal carattere silenzioso, che passava la vita a costruire ance all'infinito, ripetendo: ''Chi è 'sto gay, perche' deve fare il cu*o a noi!''
Gorigio aveva abbondantemente fatto a pezzi i flauti a tutti nel villaggio, il popolo ormai lo adorava e lui ritroso sempre sospirava: ''Vaff...!''
Egli suscitò quindi la curiosità di Ghielmi, un oscuro signore del caos che quel giorno bussò alla sua porta, radioso.
Ghielmi era venuto a chiedergli aiuto su come migliorare i flauti.
Ma Gorigio pensò che Ghielmi fosse più bravo di lui a segare pezzi di legno e gli sbatté la porta in faccia, gridando: ''Ma lui che c...o ci sta a fare!''
Allora Ghielmi indignato si rivelò per quello che era in realtà, un terribile grasso gnomo irridente, e lo maledisse: mai più Gorigio sarebbe riuscito a pronunciare una sola frase priva di bestemmie!
''Ma chi se ne frega!'', sbuffò Gorigio e riprese a copiare partiture senza posa.

Creato col il Polygen su una tragica storia vera. Potrei andare avanti all’infinito…

mercoledì 24 settembre 2008

Tubetti birichini

I nostri due Power-Prep, da non confondersi coi Power Rangers...
Affettuosamente chiamati PP2 e PP3.


Tic. Titic. Gniii! TAK! Vumm…vumm…vumm…

Partito. E’ confortante. Anche bello da vedere. Tante lucine che lampeggiano, un bel rumore ritmico, tanti tubicini di teflon. Decine di tubicini che escono e rientrano da ogni dove, per misteriosi pertugi, tutti pulsanti a tempo con la pompa mentre il liquido viene spinto in circolo.

Vumm…vumm…Ma che roba, chissà come hanno fatto a inventare questa diavoleria. Cioè, uno si mette a tavolino…oohhh ci sono anche delle bolle d’aria nei tubetti, e si muovono anche loro a tempo! Però se questo fosse un paziente sarebbe morto, con quelle bolle.

Vumm…Meno male che invece i campioni in soluzione non se ne fanno niente. Che belli che sono, lì nelle provette, si vede proprio che spasimano per essere risucchiati dai tubicini, portati via dall’esano, e purificati nelle colonnine di silice, allumina e carbone attivo. Non chiedono altro!

Trallallallà…firulì firulà…

Non dà altrettanta soddisfazione del rotavapor, quando condensano i primi vapori e ricadono colando nel pallone di raccolta, ma è abbastanza avvincente.

Vumm…

Eh? Eeeehhhh? Che diavolo c’è? Cavoli, se sapete come rovinare un divertimento. Uno non può stare un po’ qui impalato a fissare una macchina? Sempre ‘sta fissa di interagire gli uni con gli altri.

E per dire cosa, eh?

"Buongiorno" con aria ebete? Magari col casco ancora in testa?

*sigh* Ciao, Alfredo…

Attenzione: ora immagini forti…
Il PP2 NUDO!

giovedì 18 settembre 2008

Obiettivi, promesse, panzane

Se mi domandassero: “che tipo di persone ammiri?” cosa potrei rispondere?
Cos’è in realtà l’ammirazione?

Dallo Zingarelli:

Ammirazione: Sentimento di grande stima, considerazione.

Chi mai può suscitare in me stima e considerazione?
Be’, indubbiamente chi si dimostra superiore a me in un campo di mio interesse, che eccelle in un’attività a cui io do valore. Un bravo scenziato, un grande scrittore, un musicista dotato.
E se invece di considerare abilità tecniche in campi specifici ci addentriamo invece nell’esaminare la persona, allora la risposta è scontata e –penso- comune un po’ a tutti: ammiro coloro che non perdono fiducia nell’umanità nonostante tutto, che compiono i piccoli miracoli quotidiani, che fanno del bene in silenzio senza neanche avere coscienza della straordinarietà del loro agire.

Non c’è dubbio, questa gente merita stima e considerazione, e magari riconoscenza.
Ma è tutto qui?
Io posso pensare: che bravo questo ricercatore che ha scoperto il vaccino…che eroe questo ragazzo orfano che alleva da solo la sorellina…che coraggio andare a curare i feriti in zona di guerra…
Ok, ma diciamo la verità, li ammiro da lontano. Sono ben lieta che esistano anche queste persone, che siano molte più di quanto non sembrino e forse molte più dei delinquenti che finiscono sul giornale, ma non è che mi sveglio la notte per il cruccio di non essere come loro.

Io davo alla parola ammirazione un significato un po’ diverso, più emotivo. Doloroso, appunto. E’ quando incontri qualcuno che ti fa venire da piangere perché non sei così, perché anche se provi e riprovi non ci riesci, ti mancano le sue doti spirituali e morali. Ma nello stesso tempo, pure in questo rammarico, sei contento che queste persone invece ci riescano, vederle –anche se tu sei escluso da questo stato di grazia- ti riconcilia comunque col mondo.

Molti anni fa, da adolescente piena di problemi, alla domanda avevo risposto: chi è spigliato, chi è sicuro di sé.
Ma mi sbagliavo, quella non era ammirazione, era invidia, pura e semplice.
Chi è zoppo non “ammira” quelli che riescono a correre e saltare senza sforzo, neanche un po’. Perché dovrebbe? Anzi, magari non gli stanno neanche troppo simpatici. Se non li vedesse sarebbe più contento.
L’ammirazione è rispetto e reverenza che vanno meritati.

Ecco: chi è capace di lavorare duro per tenere fede ai suoi propositi, chi lotta per mantenere le promesse anche se nessuno guarda, anche se le ha fatte solo a se stesso, crollasse il mondo. Questi sono i miei eroi.
E non sono affatto degli zucconi.
Sarà bello invece essere una banderuola incapace di concentrarsi come la sottoscritta, e avere sempre la sensazione di sprecare il proprio tempo?

Non mi resta che provare, su questo blog, una tecnica in stile di gruppo di auto-aiuto.
Visto che le promesse che mi faccio da sola valgono meno di zero, magari se mi impegno pubblicamente avrò un po’ più di pudore.

Questo è il senso della nuova colonna che è spuntata qui di fianco, quella degli obiettivi che vorrei prima o poi portare a termine. Comprende anche cose serie che non dipendono del tutto da me, ma per le altre…chiedo l’assistenza di chi mi legge. Se trascorrono i mesi e non vedete mai cambiamenti siete autorizzati, anzi siete pregati di insultarmi e dirmi che sono una pataccara indegna del minimo rispetto.

Forse così riuscirò a mettermi a scrivere anziché giocare a Zuma o gingillarmi con le mie famiglie simmiche.
Adesso però no perché c’è il compleanno di mia mamma, devo studiare per il concorso, abbiamo le prove di un concerto, piove, ho sonno aaahhh…

domenica 14 settembre 2008

Concorso di colpa

Sono in agitazione per il concorso. No, non una competizione letteraria o musicale, magari! No, qualcosa di assai meno divertente, decisamente più stressante: il concorso che mi permetterebbe di essere finalmente assunta a tempo indeterminato dove lavoro da ormai più di cinque anni. Ovviamente devo fare due prove scritte e una orale per dimostrare che sono in grado di fare quello che faccio.

Questo concorso lo aspettiamo da più di un anno, è slittato sempre più. Ora si parla di ottobre. Hanno cominciato a venirmi paranoie del tipo: e se mi rompo una gamba, e se succede una disgrazia, se mi ammalo…Sperano che moriamo nel frattempo, così hanno risolto il problema precari?

E le prove verteranno su leggi e leggine e regolamenti che poco hanno a che fare con la mia attività pratica, che non riesco neanche a studiare perché si cancellano immediatamente dalla mia memoria…da qui la colpa.

Ma d’altro canto sarebbe forse peggio se mi chiedessero davvero cosa faccio, io che saltello a spizzichi e bocconi per tre reparti, cambiando anche giorni e turni come cambia il vento, oplà (non per mia iniziativa, sia chiaro), e dappertutto faccio preparativa, sostanzialmente lavoro manuale, sebbene specializzato. Non fraintendetemi, mi va bene così, mi ci mancherebbe anche di dovermi prendere le rogne di tutti quanti! Ma un solo procedimento completo, dall’inizio alla fine, non lo vedo mai.

A voler essere pignoli ho lavorato in quattro reparti, ma uno (dove avevo fatto una sostituzione di maternità) ormai non mi appartiene più. Peccato, perché era quello dove –nonostante l’eterna presenza di una dirigente che più rompi non si poteva- regnava l’allegria, grazie al collega canterino e disimpegnato.

Non che gli altri tre dove sono ora non abbiano i loro lati positivi.

In uno godo della piacevole compagnia di un altro collega appassionato di teatro e di libri, con cui posso fare conversazioni culturali…ma anche scherzare e farmi dare consigli di vita, all’insegna della simpatia.

Un altro può sembrare un luogo freddo, poco amichevole, in cui si sgobba in silenzio e basta, ma in realtà per me tacere non è un problema e il lavoro –quando ho istruzioni chiare!- non mi spaventa. No, anzi, lì si respira un’aria di grande professionalità e sono orgogliosa di farne parte, anche se coi miei limiti.

E nel quarto, che poi era anche il primo a cui ero stata assegnata al mio arrivo nel 2003, c’è…ecco, c’è…Alfredo.
Uffa, Alf, smettila di fare la piaga, non ho detto che voi siete deprimenti, antipatici e non sapete lavorare! Non mai avrei voluto dirtelo…ma insistevi…

domenica 7 settembre 2008

Medioevo pussa via

non rovinar la fantasy mia...

No, davvero, non ne posso più. Ormai sembra che non ci si possa azzardare a scrivere fantasy classica, neppure in tono favolistico, senza nel contempo compilare un rigoroso saggio storico sulla vita nel Medioevo europeo, altrimenti i talebani ti aspettano sotto casa.

OK, la situazione è questa. Generalmente, per ambientare una storia fantasy si ha bisogno di un mondo a bassa tecnologia, poco popolato, ricco di grandi zone inesplorate in cui piazzare pericoli e meraviglie. Ecco che il primo punto di partenza tende a essere, un po' per tutti, il mondo delle fiabe che leggevamo da bambini, un "medioevo" vago e indistinto, ideale, che magari in sè non interessa neanche più di tanto, è solo -per l'appunto- uno sfondo su cui lavorare.

E' ovvio che per diventare scrittori seri bisogna studiare un po' e fare attenzione ai dettagli. Occorre evitare a ogni costo i veri anacronismi e le scempiaggini. Poi leggere come si viveva, come si usava fare certe cose sono tutte notizie che possono servire, possono fornire spunti narrativi (come qualunque altra cosa). Insomma, documentarsi fa sempre bene.
MA...
Sto comunque scrivendo di un altro mondo.

Quindi ricordiamoci sempre di distinguere:

anacronismi veri: elementi oggettivamente incompatibili col livello tecnologico/scientifico del mondo descritto. Questi costituiscono esecrabili errori giustamente condannati. Va da sè, però, che un autore può comunque inserire questi elementi se trova il modo di giustificarli.

anacronismi apparenti: elementi che non esistevano nel vero Medioevo europeo, ma che avrebbero potuto esserci. Questi sono perfettamente accettabili, checché ne pensino i talebani di cui sopra. E, per essere più esplicita possibile, non sto parlando di Gamberetta, anzi.

Devo tener presente che non tutto quello che non si faceva e non si costruiva nel Medioevo non era necessariamente impossibile, giusto? C'erano regole sociali, imposizioni religiose a inibire certi comportamenti, e poi naturalmente la moda.

Perché oggi non andiamo in giro coperti di tatuaggi e coi capelli di tutti i colori dell'arcobaleno, pur avendone la possibilità pratica? Appunto.

I bottoni, tanto per dire, sono noti sin dall'antichità, ma per qualche ragione erano considerati degli ornamenti, fatti di materiale prezioso, e non venivano usati per gli abiti dei popolani...non certo perché non li avessero inventati o non potessero crearli.
Poi possiamo parlare delle piante e degli animali che qui non c'erano, perché originari di altre parti del mondo...ma comunque nati in un clima simile al nostro e quindi in grado di vivere e prosperare anche qui, tanto è vero che oggi ci sono.
E così via.

Invece, secondo questi invasati, su qualunque pianeta ti trovi:

- la struttura della società deve essere feudale
- deve esserci l'equivalente della Chiesa
- deve esserci una classe mercantile forte
- non si possono mangiare patate
- non si può suonare l'ocarina
- non si possono usare i bottoni
- non si può indossare la minigonna
- ...

Ve lo chiedo col cuore in mano, non per far polemiche e seminare inutili discordie, ve lo chiedo sinceramente desiderosa di comprendere: ma siete scemi?

mercoledì 3 settembre 2008

Detto, fatto!

Come si parla con gli squilibrati? Con cautela, è ovvio. E’ tutto un "Ehi, come te la passi? Ah, sì? Oooh, che interessante! Ma davvero? Braaavo! Ma guarda, complimenti! Eh, sì, hai proprio ragione tu!" e via discorrendo.

Mai e poi MAI bisogna dar suggerimenti, pronunciare parole che possano suonare come un invito a fare qualcosa, men che meno ci si può permettere di scherzare, perché lo squilibrato –anche quello che non ti ha mai dato retta prima d’ora- stavolta ti prenderà sul serio, e nel modo più contorto e pernicioso possibile.

Così, può capitare, tanto per dire, che in un gruppo musicale che sta tentando di preparare una serie di (noiosissimi) pezzi per una registrazione e si trovi a corto di idee per renderli un po’ diversi l’uno dall’altro, uno spiritosone, spronato dal testo del brano che dice rumpite libros, se ne esca con la battuta dell’anno: "Ma lei [indicando una ragazza innocente] potrebbe strappare della carta in sottofondo!". Una scempiaggine pensata per suscitare il riso, ma gli squilibrati non rideranno, anzi diranno: "Che ideona! Sei un genio!" e la povera ragazza si troverà davvero costretta a suonare il giornale, strappando pagine a tempo…

Nello stesso modo io ho incautamente buttato là un gioco di parole in uno dei miei ultimi post, invitando un amico a comporre un raccontino hard con protagonisti pezzi di pc.

L’ha fatto sul serio. Eccolo, solo leggermente censurato per non incappare in filtri.

Un’ammucchiata di materiale informatico

Il vecchio monitor, abbandonato in un angolo del magazzino polveroso, guardò con apprensione la notevole massa di componenti elettroniche che stavano scaricando, già ostile ai nuovi arrivati, che avrebbero turbato la sua pacifica lenta agonia.
Ma quando si trovò avvolto dai fili di decine di mouse che gli si posavano addosso, arrotolavano intorno, lo bloccavano in un’intimità schifosa, viscidi, frementi di libidine e mollicci, si sentì sopraffatto dalla vita, si trovò ad augurarsi quello che prima tanto aveva temuto: il corto circuito, prodotto dall’umidità o da un rilascio di acido, che in un lampo e uno sfrigolio gli avrebbero tolto definitivamente anche quel po’ di vita latente in cui vegetava da tanto tempo; non poteva sopportare oltre le sgradevoli attenzioni di quei pervertiti che si ammucchiavano su di lui, bianchi, grigi, neri … e perfino uno rosa!
"Magari un’esplosione!" si augurò, sognando una fine eclatante, visto che non poteva essere gloriosa.
Ma guardate quelle ba***e di tastiere buttate nell’angolo opposto, guardatele!, una sull’altra senza pudicizia alcuna, a solleticarsi i tasti l’un l’altra, mentre un suo simile – simile? non lo conosco e non ha niente a che vedere con me, piatto e spigoloso com’è…un’altra razza – un suo QUASI simile, appoggiato al colmo del mucchio di tastiere, ondeggiava impudicamente su una di loro sollecitandole la sbarra spaziatrice in un cunn***us abnorme, che si sarebbe concluso con il blocco della sbarra abbassata in un orgasmo infinito …
"Un’esplosione, un’esplosione …"
E quel mouse ottico rovesciato sul dorso, che mostra la fessura rossa ormai spenta, e guarda quelli più tradizionali con uno sguardo apparentemente sprezzante? Un caso classico, da manuale, di "invidia del filo" – che poi, persa la speranza di infilare lo spinotto in questa e quella porta, anteriore o posteriore che fosse, com’erano abituati (beh per essere onesti almeno porte dedicate, non come le prese USB che si infilano praticamente ovunque) insomma guardali ora, con quel filo che penzola lubrico e sconsolato…
"Un’esplosione, Signore, un’esplosione!"

Grazie, caro amico, complimenti, che interessante, braaavo!


L’autore.

venerdì 29 agosto 2008

Adagiata

Questo sarà un post come quelli che condannavo qui, cioè parlerò di cose che non conosce/non ha letto/non sono di interesse a nessuno: il mio primo (tentativo di) romanzo, dal titolo Adagio ma non tanto.

Chiariamo subito che non è un fantasy!

Perché ne parlo, visto che appunto non lo conosce nessuno? Perché nel rileggere la scheda di valutazione della casa editrice a cui lo avevo mandato mi sono scaturite riflessioni di carattere generale e vorrei condividerle.

Mi si fanno i complimenti per la forma, il linguaggio e l’ambientazione. Ma cosa non va?
La trama.
Brutta storia.
E non per incongruenze, no…
Quello che secondo loro non va è questo.

1) succedono in realtà poche cose, e si ha la sensazione che il romanzo sia “sbrodolato”
2) i dialoghi sono curati e precisi, ma troppo pesanti, lunghi, didascalici
3) tutti i personaggi sono femmine
4) non c’è neanche una storia d’amore
5) si parla tanto (troppo) di musica barocca

La prima cosa che mi ha stupito è che non hanno nemmeno sfiorato quello che io ritenevo essere il maggiore difetto del romanzo, cioè l’essere ambientato negli anni ottanta senza nessuna vera ragione se non quella di essere stato concepito allora. Riscritto daccapo, è ovvio, ma impossibile da trasportare ai giorni nostri. Quindi, ormai datato.
Va bene, forse hanno deciso che questo non era un difetto così grave.

Rileggendo il mio lavoro a distanza di due anni, temo di dover ammettere che i punti 1) e 2) hanno qualche fondamento. Ho avuto anch’io, ora, la stessa sensazione, soprattutto riguardo ai dialoghi, agli “spiegoni” di pagine e pagine, e d'accordo che la protagonista è volutamente pedante e pignola, ma così è esagerato. Inoltre le ragazze –benché si tratti di persone di cultura superiore alla media- parlano veramente troppo come un libro stampato.

Al 5) rispondo: mbé? La protagonista è una musicista, cosa pretendete? Certo, ci sarà chi si annoierà…come mi annoio io a leggere di paginate di ricette di cucina, o di gare sportive, o di combattimenti, eppure son tutte cose che si trovano in ogni genere di libro, senza che nessuno pensi ad appiccicarci l’avvertenza: romanzo per sportivi-per cuochi-per guerrieri…

Ma ciò su cui non sono affatto d’accordo, come si può immaginare, è che il punto 3) rappresenti un difetto oggettivo. Cioè, bisogna rispettare le quote azzurre/rosa nello scegliere i personaggi? Ci vuole la par condicio? Non ci sono, no, vero, caterve di libri in cui non compaiono personaggi femminili degni di nota, e va bene così?
Ma va bene così davvero, uno scrive di quello che gli pare e usa i personaggi che gli servono! Non ti piacciono? Vai a leggere qualcos’altro!

E da qui discende, credo, il pernicioso punto 4), perché certo, se la protagonista è femmina, la sua vita sentimentale dev’essere sempre sviscerata, diciamolo, è l’unica cosa che valga la pena raccontare di una donna! Una donna, cioè, dai, cos’altro può fare…se non offrire la possibilità di esibirsi a un personaggio maschio che finalmente ravvivi la trama?

Ah, scusate lo sfogo. E’ generale, appunto, non diretto verso i compilatori della scheda. Se della gente così rigorosa sulla forma arriva a discutere del contenuto, vuol dire che hai già passato diversi livelli di scrematura.

Ma il punto ora è un altro. E’ una storia a cui sono molto affezionata, ma non posso più perderci del tempo, ho tante altre cose che vorrei scrivere e che meritano il loro turno. Quindi, addio, Adagio ma non tanto. Appena avrò capito come fare, lo trasformerò in ebook e lo metterò qui.

lunedì 25 agosto 2008

Ammasso materiale informatico



Tanto per non lasciare il blog apparentemente abbandonato, ma non volendo nemmeno sprecare i bellissimi post che sto preparando per questo periodo estivo così deserto, faccio il punto della situazione.

Prossimamente vorrei scrivere di: libri che mi capita di leggere, riflessioni sui miei manoscritti (che poi perché continuiamo a chiamarli così se più nessuno li compila a mano), prese in giro dei miei compari musicisti…tutta roba di dubbio interesse per gli altri, ok.

Avevo chiesto al mio amico Emi di scrivere anche lui qualcosa, pensando a un pezzo sulla musica, magari serio, ma ora lui vorrebbe invece mandarmi da postare qui un racconto sconcio. Cosa faccio?

Visto che ha avuto un discreto successo l’email del direttore del laboratorio a proposito del vestiario, eccone un’altra, fulgido esempio della prosa limpida del nostro stimato dirigente.

Oggetto: materiale informatico dismesso

Occorre ammassare al più presto il materiale informatico non più utilizzabile, allo stato sparso in giro, in una stanza perchè possa essere allontanato.
Dovrebbe arrivare una ditta che lo fa. Per i più deboli, se è il caso, farsi aiutare da Gianfranco con carrello.
La stanza individuata è la 130 al primo piano zona R***i che ne è informato. Non bisogna occuparla tutta ma se è il caso ne troviamo un'altra.
Occorre compilare il file che ho allegato per quello che si ammucchia.
Se si allontana un solo pezzo che non ha numero ad es. una stampante, essendo il numero di inventario unico per PC + stampante + mouse, mettere quello.
La stampata del file la metto comunque a disposizione sul bancone di stanza 130 ma è preferibile che compiliate in informatico così resta traccia ad ognuno. Basterà poi unire i vari fogli stampati.
CIAO
(allegato: ammasso materiale informatico.doc)

Ora ho avuto un’illuminazione inquietante: e se spingessi il mio amico a scrivere invece di un’ammucchiata di materiale informatico?

lunedì 18 agosto 2008

Un po’ di fiducia, Emi…

Caro Emi, so bene da dove nasce la tua diffidenza per questa nuova clinica che ti ho consigliato. Le tue esperienze chirurgiche non sono state delle migliori, sebbene non si avvicinino neanche a quelle patite da altri miei conoscenti e parenti (tamponi dimenticati all’interno, flebo contaminate da detersivo liquido, trasfusioni con sangue del gruppo sbagliato).

Ho presente anch’io il tormento della tua operazione d’ernia inguinale, con l’ago infilato nel braccio per tutto un giorno e una notte, la saracinesca dell’ascensore che frustrava ogni tentativo di prendere sonno.
Nemmeno l’atmosfera rilassata e quasi gogliardica della sala operatoria ti aveva risollevato l’umore, quando era arrivato un tizio sconosciuto a presentarsi: salve, solo il nuovo anestesista mandato dal capoluogo, e tutti a salutarlo cordialmente, benvenuto e grandi pacche sulle spalle, nessuno lo conosceva né di vista né di nome, ma tutti pronti a credergli sulla parola. E tu rattrappito sul lettino che ti domandavi se non fosse un’orribile candid camera, o se invece mesi dopo non si sarebbe scoperta la verità: PIÙ DI TRENTA LE VITTIME DEL MITOMANE CHE SI INFILTRAVA NELLE SALE OPERATORIE…

Neanche quest’ultima rimozione dei calcoli alla cistifellea (ma come ci sei rimasto male nello scoprire che intendevano asportare tutta la cistifellea!) ti ha soddisfatto: prima non avevi niente e ora senti male.

E vogliamo parlare delle varie colonscopie coi dottori che ti sembrano tutti un po’ gay e ti fanno paura? No, lasciamo stare.

Capisco che tu ne abbia abbastanza.

Ma proprio non ti posso vedere con questa infiammazione alla mano, il dito rattrappito e gonfio per la fatica di reggere il flauto basso per ore e ore, il dolore che ti costringe a fermarti e agitare il braccio in aria sventagliando il polso come un suonatore di nacchere.Tutta questa sofferenza mi strazia. E il problema si può risolvere facilmente, credimi!

Perciò ora piantala di urlare e stai fermo.

Ecco il chirurgo…
Un amante del piercing estremo, costui, ma è forse in discussione la sua vita privata? E’ bravo, sa quello che fa e ciò ti basti. Probabilmente non è neanche gay.

Dai, a cosa ti serve questo vecchio braccio rattrappito, perché ci tieni tanto, quando puoi averne uno nuovo fiammante che ti permetterà di suonare tutto il giorno senza stancarti? Anzi, fossi in te farei un pensierino anche sull’altro braccio, in modo da diventare un musicista completo.
Cosa, che anestesia, hai brontolato finora contro quello dell’altra volta! Non fare il frignone. Guarda che bella infermierona bionda sta venendo a prendersi cura di te!
Scommetto che la affascinerai con la tua parlantina. Poi mi racconti, eh.


P.S.: Poi riparliamo con calma della tua idea di volermi far comprare e suonare un robo così:



giovedì 14 agosto 2008

L’abito fa il monaco…

O il chimico, nel mio caso. Da anni non ricevo più il materiale opportuno, mi presento stracciata e rammendata, lurida e abbruttita da macchie ormai indelebili, e intorno a me non vedo situazioni granché migliori.

Gente che sembra uscita da un’officina meccanica, tecnici disperati che, all’ennesimo squarcio sulla maglietta sfibrata dai fumi acidi, perdono il senno e se la strappano di dosso denudandosi in corridoio e scappando via.

Due tipi assai eleganti nel mio laboratorio…


Durante un servizio fotografico per un giornale locale, un mio collega ha dovuto usare ben tre magliette diverse –a seconda che fosse inquadrato di fronte, di schiena o di profilo- per riuscire a far sembrare che il suo vestiario fosse integro, anche se non proprio immacolato.

Abbiamo provato a mascherare i buchi con etichette adesive, ma anche quelle dobbiamo farcele bastare, recuperare tutto va bene, ma andare in giro con un codice a barre sulla schiena può dare adito a situazioni equivoche e pesanti dubbi esistenziali (Sono davvero diventata una confezione da 1 kg di potassio ioduro? E quanto costo? Dov’è la mia scheda di sicurezza? Sarò stata caricata in magazzino correttamente?).

Eppure c’e’ stata tempo fa una precisa comunicazione del direttore del laboratorio in merito alla faccenda.

Rammento, perchè se ne dia applicazione, alcuni punti riguardanti l'uso del vestiario:
1 ) il camice o la giacca corta vanno sempre indossati dai presenti in laboratorio addetti a lavoro tecnico
2 ) maglietta scarpa bianca e pantaloni lunghi sono vivamente raccomandati (alcuni incidenti per taglio da vetro rotto sono a testimoniare la necessità di avere piedi e gambe un poco protetti)
3) se per qualsiasi motivo si abbandona l'area del laboratorio (escludendo il tetto per le bombole e il cortile per l'accoglimento campioni) occorre spogliarsi del camice o giacca
4) si lascia al buonsenso di ognuno la valutazione del grado di sporcizia degli indumenti
5) la voglia di pantaloni corti in periodo estivo indossati dal personale maschile va autorepressa
In generale va evitato di dare immagine di trascuratezza e disordine facendo calare la propria autostima
Ciao

Ed ecco che finalmente, dopo la brillante risoluzione del caso delle pipette scomparse, arriva qualcosina! Ci precipitiamo a rifornirci, ma la gioia dura poco.

Occorre fare attenzione, ci avvertono, al lavoro che andiamo a fare, perché questa nuova dotazione non va bene per tutti. Per una qualche disattenzione, un imprevedibile malinteso dell’ordine, sono stati acquistati dei camici infiammabili.

Ecco che monaci siamo, dei bonzi!

lunedì 11 agosto 2008

Riempitivo

Ho un sacco di idee, spunti per post interessanti e avvincenti, ma dovrei sprecarli durante questo mese di stanca, quando tutti sono in vacanza? Andrebbero persi, brucerei il mio materiale migliore per niente.
Conviene aspettare settembre.
Ma per allora mi sarò dimenticata metà di quello che volevo dire, e l’altra metà sarai ormai passata di moda.
Non c’è speranza, questo blog rimarrà sempre un contenitore di scemenze e basta; del resto non desideravo niente di più quando l’ho creato.

Quindi ecco un paio di scematine estive, tanto perché si sappia che sono viva.

Un saluto al mio fedele compagno di flauto (quello a destra):


Emi, quest’ultima barzelletta era proprio orrenda.

E anche al mio collega appena andato in ferie (è uno dei patisciosi che non vogliono farsi fotografare, perciò ho alterato l’immagine. Leggermente. Ma neanche tanto):

Ciao, Alf, divertiti!

giovedì 7 agosto 2008

La Poesia della Leggenda - 3

Parte terza - Primavera

Tormentato da contributi figurativi, un uomo anziano sogna sua sorella
ma la marinaia lo sgrida;
quando piove, un mercenario lascia la locanda con un nome stupido
e nel cercare gli amici quasi viene aggredito dall'acciaio
e si capisce subito che mente!
Ma uno non lo interroga e lui li porta tutti a fare una gita
su una pozzanghera di catrame...

Vedendo ancora il gioielliere, si domanda perchè i mostri lo cercano
ma nella tempesta un gracile studente urla e una donna guantata esita,
finchè la grandine la travolge e il timoniere impazzisce...
Così nella cabina degli asciugamani il capo è costretto a confessare,
imbullonato al pavimento!

Intrappolati in un vortice azzurro,
gli viene in mente di salvarsi con una palla da bambini,
ma l'ha presa il mago che già una volta ha incenerito suo fratello,
perciò se ne va da solo,
e sopra i relitti si sentono ancora i singhiozzi di un omone!

Due turisti in una ricca città, intanto, litigano per le pietre
e a uno è sembrato di vedere un ferito portato via...
Ma scappano inseguiti da una torre, mentre l'elfa guarda dalla finestra
e uno storico le racconta la cupa leggenda di un suicida
che ha rovinato il cancello;
la fregano però nominandola cavaliere
e un falso messaggio l'attira in trappola.

Due innamorati infelici hanno proprio scoperto che si fanno uova sode
e sono sconvolti;
si cavalcano maestosi animali facendosi male col giubbotto,
e pensare che a lui piaceva davvero la guerriera,
avevano chiacchierato mentre altri si picchiavano coi boccali
e davano fuoco al grembiule dell'oste!

Finalmente un muto può parlare ma non sa un accidente e non serve,
e in una città distrutta in fondo al mare seguono un animatore;
uno addormentato ricorda che gli hanno mostrato un'immagine falsa
inducendo un moribondo ad aggredirlo, ma una ragazza lo sveglia...

Il capo segue il marito di una sirena e scopre delle sacche d'aria
per avvertire tutti che c'è una guerra al piano di sopra
e che se pensano di star tranquilli coi pesci si sbagliano!
Così un cicerone parla di un pozzo nero e profondo,
ma ancora il nuovo fidanzato piange, ricordando le ombre cinesi sul muro.

Dei pescatori li trovano, vanno al mercato e li scippano,
ma si riconoscono e scoppiano in lacrime commossi!
Si incontrano così dei serpenti buoni,
però proprio mentre vanno volando a salvare la principessa
un vecchio dal berretto sghembo li prende a sassate e fa scappare le guide!

Però il suo drago diventa una collanina
la campata rimane sospesa in aria, mentre tutti corrono o penzolano flaccidi,
e si consiglia di non seguire una mappa falsa
ma di cercare un posto che non conosce nessuno.

Stufi dei vicoli ciechi, i compagni allora strisciano,
ma per pensare a un consanguineo uno perde di vista il portatore della gemma!

Così un fabbro corre come un disperato, facendosi venire un infarto,
l'amico sconvolto usa la spada tra i macigni ma in realtà non era il caso,
e se lo vede portar via in mezzo a una conca scura col disegno delle stelle...
Allora l'orefice spiega che lui per sbaglio ha spinto una colonna
ed è per questo che lo cercano.

Era però micidialmente facile entrare nel corteo,
e il capo infatti urla stranito in mezzo ai soldati:
due vengono portati alle segrete, ma si fidano ancora, e pesano parecchio.

I frammenti del vaso infranto galleggiano per aria
la signora non vuole affatto scambiare i fustini, smaltendo nel sonno i bagordi,
così la cella non è accogliente e si stacca la barba finta...

Sudando in un'armatura di scaglie, lui entra nell'aula
in mezzo a orride piattaforme,
ma mentre si inchina per salvare una dama gli suggeriscono di fischiare,
e così ammazza un sire coronato!
La ragazza, però, offesa, scappa con un'altra camicia
e lui la perde mentre suonano le sirene...

Annaspando nella biforcazione, due trovano la porta
ma si pungono e cadono tra i convolvoli;
gli altri si bloccano nell'arco con le pietre bagnate e sgombri nuotano mordendoli,
ma l'uomo generoso pensa che forse è lì sotto con un pazzo...
E proprio mentre l'acqua gli entra negli stivali incontra di nuovo
uno che gli è mancato!
Infatti era andato a prendere ripetizioni,
il bibliotecario per sbaglio gli ha dato una chiave
e così ha cambiato allineamento!

Ma è meglio per tutti se ci si schianta sulla colonna,
poi lui diventato potente caccia via gli stregoni,
tira fuori uno dal fango e salva l'avvelenato,
fuggendo con un volatile prima di incontrare un dio vicino al fuoco!

Così, spiega il cappellaio, l'equilibrio è ristabilito,
i funghi sono a posto
e non c'è nessuno a salutarlo di notte dal cancello
ma pazienza.

FINE


(MOLTO liberamente ispirato al vol. 3 delle "Cronache di Drangonlance")

domenica 3 agosto 2008

La Poesia della Leggenda - 2

Parte seconda - Inverno

Si rivoltano le tasche con un'irritante tiritera, elencando gli eletti;
e il martello viene venduto per finanziare gli scavi!
Un blasfemo glielo ha detto che era inutile cercare le navi,
ma loro sono testardi,
così il mezzosangue è geloso quando vede un predicatore
e le stelle cadute scavano buchi dentro di lui...
e quando, arrampicati, scoprono che la pozzanghera si è prosciugata,
una fionda fischia per dare l'allarme, il conestabile zufola spaventato,
e vengono tutti arrestati!

Quella che doveva essere una marcia di trionfo, però,
si trasforma in un ritrovo di marinai perchè un ragazzino sgattaiola;
un uomo gentile aiuta una signora e si balocca con la spilla
e intanto nelle sale della locanda, tra i pezzi di vetro,
il mago spiega che gli hanno affibbiato l'orologio
per insegnargli la compassione,
e non sembra che abbia funzionato...

In una biblioteca ben conservata,
ci si provano occhiali su piccoli nasi mentre le pagine si sbriciolano
sul disegno della sfera.
Immalinconito, un figlio butta la dama in un rifugio
e si sceglie per forza l'abito lungo:
cosa si può fare, nell'udire i corni, oltre a offrirsi di avvelenare il vino?
Ma non c'è bisogno di spingere le pietre e tutti cadono nella cantina,
protetti da un omone vestito di cuoio.

In fuga, ci si racconta la storiella delle biglie facendo voci diverse,
ma quando poi attraversano un fiume spettrale non c'è trippa per gatti:
orribili elfi morti vanno in giro a distribuire tesserini,
alberi urlano gocciolando succo di chinotto,
si vede anche gente che non c'è e muoiono negando di aver mangiato,
un'ostessa taglia a pezzi un vecchio per sbaglio
ci si avvelena con la serratura truccata
e alla fine un mostro verde si ritira
solo davanti a un evocatore che ha cambiato vestito.

Per fortuna si scopre che era stato solo un incubo
dovuto forse ai vapori della nave alla deriva,
ma è vero che un padre urla senza voce,
non potendosi staccare dal globo che poi sparisce nel sacchetto delle mollette.

Soffrendo il mal di mare,
il nano prende un pezzo di asta da dentro il ghiaccio,
ma vengono maltrattati dagli stessi parenti della mancata sposa,
in lotta per gli schiavi, e si pestano sulla spiaggia...
devono quindi sottrarre la palla mentre si dorme
e uscire in barca con una strana ragazza molto timida
che piange a lungo parlando di sua sorella che era un drago.

Sotto la cascata vola la coperta e lei li conduce in una tomba,
oltrepassando statue insofferenti,
senza dar loro tempo di provare a cuocere la carne.
Quando tutti si accasciano con un rumore di scudi,
il chiacchierone si nasconde,
con delle gemme vola in un corridoio e incontra un vecchio morto
che grida perchè c'è baccano e gli mostra l'affresco.

Gli altri intanto, usciti dal bosco degli orrori,
campano facendo numeri da circo e mentono alle guardie;
spuntano mani minacciose e lo trovano svenuto,
ma la ragazza si è strappata una manica inutilmente,
chè lui non si può impegnare per lei a causa del bottone rubato.

Un dio sotto mentite spoglie va con l'amico
in casa del capo dei cavalieri a bergli il vino buono
poi si rintanano fra gli scienziati e vengono lanciati con le catapulte,
sfiorando le reti, mentre il pavimento è invaso da spugne!
Si fa prima a ripulire se qualcosa non funziona,
spieghiamo al bambino che ha chiesto a che ora passa il tram.

Si trovano seduti a litigare davanti a un treppiede
e mentre lo gnomo prende appunti tra le file di seggiole
l'unica cosa da fare è prendere la rincorsa e spaccare il modellino,
poi tanto l'anziano calma gli animi e alle sue spalle esplode una pietra bianca...

Una torre è inutilmente difesa, ma dentro c'è un gheriglio di noce:
quando vede l'amico trafitto, la giovane dalla pelle bronzea non ha più dubbi
e si appresta a bloccare la testa degli animali nel corridoio con la serranda!

Gli sbandati sono in un porto di mare
uno si è cammuffato ma, capovolto nella rissa,
viene scambiato per un ufficiale a forma di lucertola:
incontra così un'antica seduttrice
che abita ora in una rosa di calcestruzzo
e persino un estremista non è riuscito a ucciderla
perchè veniva sempre fuori uno spettro e tante donne cantavano di notte...
Si intrattiene con lei,
dimenticando che una marinaia vuole il compenso;
un ubriaco lo segue e lui fa pratica coi filtri!

In una stanza secolare ci sono bui comodini
e fanno il funerale portando piatti di piume...
Ma nello stesso momento l'ereditiera con la rete sente dolore,
si punge col gioiello e corre nel bosco sfigurato:
portando con sè nuove idee fa un buco per terra,
ma quando vede che l'albero è cambiato
capisce che deve telefonare ai suoi perchè traslochino.

(MOLTO liberamente ispirato al vol. 2 delle “Cronache di Drangonlance”)

domenica 27 luglio 2008

La Poesia della Leggenda - 1

Inauguriamo con questo post la serie di scrittura caotica “a tema”, cioè ispirata a libri, film, biografie ecc. Questa parodia estrema potrebbe (il condizionale è d’obbligo) risultare divertente non solo per l’autore ma anche per chi conosce l’originale. Forse.


Parte prima - Autunno


C'è solo una puntata timbrata e pazienza, ci accontentiamo:
però quando una figuretta esile ci mette nei guai con gli spettri
è l'ora di domandarsi se vale la pena di entrare nelle rovine!

Era iniziato tutto sopra a un albero dove degli amici
si erano rivisti dopo tanto tempo,
la comitiva non era però al completo,
e siamo poi sicuri che da qui a là lei abbia la risonanza in mano?
Probabilmente no, e la cameriera non vi dà peso,
anche se, dopo che una bionda ha cantato,
li fa saltare tutti nello scarico della spazzatura!

Spaventati da una luce azzurra, corrono nei boschi,
rubano una barca con lo stetoscopio:
bisogna però legare il ferramenta che ha paura dell'acqua
e quando gli arcieri si addormentano
ecco che vedono che mancano costellazioni
e affranti fanno cadere le stoviglie!

In mezzo a una puzza dannata di radici andate a male
l'uomo delle pianure litiga col cavaliere in armatura, ma poi diventano amici:
incipiente, un grosso fratello sbatte le teste di strani chierici con dita adunche,
e si trasformano in pietra!
Così poi un uomo onorevole vede un cervo e vuole seguirlo,
contro il parere di tutti i carpentieri,
in cima a una montagnola vedono un alamaro buio...
ed ecco che si trovano a dover convincere antichi guerrieri.

Cosa accade dopo non lo ha capito nessuno:
urla di qua e di là, barellieri fuggono nella notte,
il mago preso per mano sviene...
ma dopo questa scena scritta dal tossico in trip
ecco che si riprende in compagnia di sdegnosi centauri.
Per non essere usato come cibo per cani, il ladruncolo mostra molte mappe,
tutte sbagliate, ma è entusiasta come sempre,
anche nel sedersi su covili traballanti e mangiare alla luce di molte lune.
Vorrebbe poi restare sveglio ma è inutile,
e subito trovano il villaggio bruciato come dopo aver frugato in letti di paglia!

Ma non c'è tempo nemmeno di rimettere l'imbottitura nel pupazzo
e in mezzo alla palude due si buttano dal tronco per non essere catturati,
mentre si fanno piroette tra le frecce avvelenate!
La guaritrice tocca inutilmente lunghi capelli e un picchiatore,
disperato come un gemello orfano, spacca le sbarre
correndo di fronte al drago di giunchi...
ma a questo punto è un trucco e nel fumo riescono a fuggire
salvo il bambino dispettoso che rimane incastrato con la testa
e un tipo lugubre si mette a ridere, spaventando tutti.

La tastiera emette un ronzio
e dato che è tardi
decidono di tornare a vedere cosa è stato della città sopraelevata.
Qui trovano la locanda posata per terra e le patate sparpagliate
mostri picchiano un elfo e poi li arrestano,
anche se un verme immaginario fa la guardia alle armi.
Chiusi nel carro col fabbro mutilato,
partono con la faccia di chi, davanti alla cartuccia vuota,
ha giurato di non chiedere più farina ai vicini.

In realtà avevano già recuperato i dischi, lottando intorno a un pozzo
e facendosi male nel tempio;
non sarebbero mai riusciti ad andare su e giù coi sacchi di zucchero
nelle pentolone per fondere il lardo senza l'aiuto di una nana sporca,
amante dei topi morti,
che per effetto di un tubero stagionato si era innamorata di un giovane
dall'aspetto appariscente
e lo aveva condotto fin quasi dal drago.
Tutti ridevano di lei e della sua collezione di lucertole,
ma il fattucchiere invece l'aveva trattata con gentilezza,
donandole un'aura argentea,
e lei felice aveva rilegato dei canti scozzesi!

Ora nella gabbia nessuno vuole parlare di vetrine
e ci si ferma perchè un vecchio col cappello litiga con gli alberi,
si fa caricare e insegna come tirare sfere di fuoco contro i moscerini!

Vanno in casa di un popolo superbo che lì per lì non crede al medaglione
e guarda storto chi è vestito di rosso;
qui uno ricorda che si è fatto crescere la barba per non mostrare
che non conosce suo padre,
e una ragazza gli ha dato delle foglie ma lui non le vuole!
Una rissaiola da taverna fa a botte con uno scudo e poi lieta abbraccia l'omone,
interviene così la guaritrice, come una sorella, ad ammonirlo
perchè lei è alla ricerca di un primo impiego...

Una ragioniera una volta si è domandata perchè mai piaccia tanto
uno che non fa altro che tossire,
ma la ricetta della tisana gliel'ha data il capo dell'ordine
per scusarsi di averlo marchiato...

Per una strada segreta entrano dove c'è una catena,
contro il volere di un esperto aprono la stanza del tesoro
e uno spettro grida selvaggio;
così, mentre due salgono tra gli ingranaggi,
sollevano per sbaglio un animale grande e precipitano tra le piume di gallina,
gli altri si rifugiano dietro a una porta finta
e devono vestirsi da donna per salvare i giocattoli.

Dopo varie accuse reciproche di tradimento
e un incontro con chi ha un rubino nel piede
escono in cortile e al cattivo corridore cade la maschera mentre crolla il muro
e gli stranieri si sposano.


(MOLTO liberamente ispirato al vol. 1 delle “Cronache di Drangonlance”)

giovedì 17 luglio 2008

Come fare concerti schifosi – Lezione 8

I Collaboratori/ Parte II

I Cantanti Solisti

Si intende un gruppuscolo di pochissime persone, magari solo una per voce e a volte neanche quella.
E' necessario distinguere vari casi e sottocasi.

A) Cantanti solisti veri
Si tratta di persone che hanno studiato canto a livello anche professionale, magari possono vantare un discreto curriculum. Non hanno mai lavorato insieme prima d'ora, ma per i più disparati motivi si coagulano intorno a un progetto che sulla carta sembrerebbe promettente.
Ma...se avete letto fino a qui lo sapete chi sono in realtà, vero?
Esatto, un mix micidiale di Megalomani, Professionisti e Principesse! SCAPPATE!!!
Tanto non c'è alcuna possibilità, con questi, di far concerti, né schifosi né decenti, perché non vi faranno mai suonare: la Principessa strillerà perché i vostri raddoppi della sua voce se non la fanno sbagliare sicuramente la mettono in ombra, il Megalomane vi ruberà tutte le parti, cercando magari di cantare più voci insieme, il Professionista eliminerà direttamente la metà dei pezzi perché non ne ha voglia e -come abbiamo già visto- tirerà a imboscarsi e fare il meno possibile...L'unico spettacolo che tali mentecatti sono in grado di allestire è questo teatrino dell'assurdo a vostro beneficio! Vi faranno solo perdere tempo.

B) Cantanti semplicemente scompagnati
Questi derivano dalla disgregazione di un Coro (v. Lezione 7). Conoscere i motivi di tale disgregazione è di vitale importanza, poiché si potranno avere situazioni radicalmente diverse a seconda di cosa è accaduto. In particolare:

  • Prima eventualità: il Coro si è disfatto per una secessione interna.
    Domandiamoci: chi abbiamo di fronte? I "secessionisti" (cioè i ribelli) o i "secessionati" (vale a dire il vecchio Maestro e i suoi fedelissimi)? Se è la seconda, i "secessionisti" dove sono andati, invece? Si sono semplicemente dispersi, abbandonando l'attività musicale, hanno costituito un altro Coro scegliendo tra loro un nuovo Maestro oppure -orrore!- si sono uniti a un gruppo rivale? In questo ultimissimo caso, i "secessionati" saranno incacchiati neri, e profonderanno tutte le loro energie residue per vendicarsi, per mostrare a "quelli là" quanto hanno sbagliato, ché il bello viene adesso.
    Per questo tipo di gente, vale quanto detto sui Cori in generale nella Lezione 7.
    Se invece sono proprio i "secessionisti" a contattarci, non diamo per scontato che si tratti di piantagrane pericolosi, concediamo loro una possibilità prima di concludere che sono come (se non peggio) quelli del caso A).
    A ogni modo, mai farsi coinvolgere da queste faide. Ricordiamoci che tutto è accaduto prima che li incontrassimo, noi non c'entriamo nulla e ce ne frega ancora meno.

  • Seconda eventualità: il Coro è giunto al termine della sua naturale esistenza (tutti morti di vecchiaia senza trovare sostituti, il Maestro defunto all'improvviso senza nessuno in grado di prendere il suo posto...) oppure è stato distrutto da cause esterne (una frana ha spazzato via il paese, un invidioso Coro nemico ha attirato e ucciso quasi tutti in un'imboscata...ok, sto esagerando, ma potrebbe succedere, credetemi).
    Rimangono solo quattro patetici sfigati che hanno dedicato tutta la vita al Coro, non sono in grado di rifarsi un'esistenza da soli e non vogliono rassegnarsi all'idea che tutte le cose belle finiscono. Quindi eccoli a tentare il tutto per tutto per recuperare qualcosa: propongono iniziative, si presentano puntuali a tutte le prove, studiano la parte, fanno tutto ciò che non avrebbero mai pensato di fare quando il Coro era vivo e vegeto.
    Ma sanno bene, in fondo, di esser vissuti troppo a lungo, relitti senza senso di un'epoca tramontata.
    Per puro spirito umanitario, vi direi di sopportarli e assecondarli se potete, in attesa che diventi legale l'eutanasia.

Lavorare con dei cantanti solisti di qualsiasi tipo, in definitiva, è un'esperienza che comunque vada vi arricchirà: come detto all'inizio, è molto probabile che il numero dei cantanti non sia sufficiente a coprire tutte le parti, quindi imparerete a destreggiarvi in modo funambolico per realizzare con gli strumenti (i più inadatti possibili, mi raccomando) anche le voci mancanti, ottenendo effetti a dir poco bizzarri nei pezzi pensati per presentare un vero e proprio dialogo tra le voci (che ovviamente rimarrà nell'immaginazione del pubblico).



Il Gruppo di...

ballerini figuranti attori figurini ballanti spadaccini pescivendoli eccetera)
Diversamente dal Coro, questo tipo di gruppo non ha mai un vero e proprio leader, e lo stesso termine "gruppo" per definirlo è fuorviante.

La mente umana (e non) tende a categorizzare tutto, e a ricondurre ciò che incontra a schemi già familiari, per programmare il proprio comportamento. Per questo motivo nel rapportarsi con gli altri ci si aspetta sempre e comunque di trovare UN interlocutore, al limite collettivo, magari cretino, ma rappresentante ed espressione di UNA volontà. In parole spicciole, gente con le idee chiare.

Quello che non ci si aspetta e non si vorrebbe mai vedere è lo spettacolo francamente orribile di un marasma di gente totalmente disorganizzata, un ammasso informe di persone che, pur essendosi volontariamente unite per realizzare un progetto, sembrano non potersi soffrire, ognuna impegnata a gridare più forte di tutti gli altri, a mettersi i bastoni tra le ruote o almeno a sabotare passivamente le decisioni dei compagni, disgregate in decine di fazioni di massimo 2-3 individui ciascuna.

Insomma, ciò che succede nel nostro piccolo gruppo di musicisti falliti, ma portato su vasta scala.
E' un modellino animato del caos primordiale.

E il nostro piccolo gruppo, per i limiti mentali che dicevo prima, continuerà a sbagliare tentando di rapportarsi con uno di questi cialtroni come se quello fosse il rappresentante di qualcosa e avesse voce in capitolo su qualche argomento, cercherà di comunicare col nulla per trovare un accordo impossibile, ostinatamente credendo di poter pattinare sulle sabbie mobili (che bella metafora, eh? Si vede che studio da scrittrice?).
Invece ci troveremo a trattare di volta in volta con la Fazione che Vorrebbe Coinvolgerci Sempre, la Fazione che Non Sa Chi Siamo, la Fazione che Ci Odia Perché Non Ci Hanno Chiamati Loro, la Fazione Entusiasta che Però Non Capisce Cosa Facciamo, ma anche il Comitato del Martedì Mattina, la Rappresentanza delle Tre e Mezza, il Consiglio della Settimana Prima di Ferragosto, tutti con istruzioni diverse, probabilmente durante lo stesso spettacolo.

Anche qui, per fare schifo non dobbiamo sforzarci minimamente.

°°°°°°°

E con questo temo che abbiamo finito con le lezioni sistematiche.
Lo so, lo so, è stato un buon corso, mancherà a tutti, che malinconia, organizziamo una pizzata finale?