I blog di tanti altri aspiranti scrittori sono pieni di post serissimi, intellettuali e profondi, oppure un po’ ermetici, di quell’ermetismo che ti fa dire “ma quanto è intelligente questo qui!” perché non hai il coraggio di dire “eehhh?!”
Oppure ancora recensioni importanti di caterve e caterve di libri/film…
E io invece…boh.
Mi sento sempre così inadeguata.
Prendiamo i racconti, che stanno eternamente nell’elenco dei progetti in corso qui di fianco.
Per la maggior parte, sono idee tratte da sogni (o meglio incubi), per cui mi si presentano in testa con già una forma definita, una trama, quasi tutto insomma. Niente a che vedere col lavoro bestiale che c’è dietro la composizione di un romanzo, dove hai solo qualche idea e devi costruire di sana pianta tutto il resto intorno, ed è un continuo provare e correggere, cambiare e buttare per aria, quando non passi settimane fermo per un banale intoppo.
I racconti dovrebbero andare lisci come l’olio, dovrei solo riportare la storia che già si è composta da sola nella mia mente mentre dormivo, aggiustarla un pochino per renderla più lineare e via.
Invece no, perché –per l’appunto- sono sogni, sono un canale diretto col mio essere più intimo, dentro c’è qualcosa di dannatamente doloroso e/o angosciante, dentro ci sono io, e mi fanno stare male.
Buttarli su carta è una terapia, ma equivale a incidere una ferita.
Così I guardiani del Sabato è così triste che quando ci penso, quando cerco di comporre mentalmente frasi sul treno devo smettere perché mi ritrovo coi lucciconi, quello chiamato per ora Betty! Betty! (titolo stupido, poi lo cambierò) mi fa francamente paura, e sono del tutto incapace di rileggere ad alta voce la parte finale de I passi che facciamo, che mi ammazza (non è nell’elenco perché teoricamente finito) e per il quale non ho ancora oggi trovato una chiusa decente.
E di dedicarmi agli altri, quelli un po’ meno intensi, non ho mai voglia. Penso che allora sarebbe meglio lavorare al romanzo, sarebbe meglio far questo e quell’altro e alla fine non concludo…un corpo cilindrico cavo, esatto.
Che sciagurata.
Oppure ancora recensioni importanti di caterve e caterve di libri/film…
E io invece…boh.
Mi sento sempre così inadeguata.
Prendiamo i racconti, che stanno eternamente nell’elenco dei progetti in corso qui di fianco.
Per la maggior parte, sono idee tratte da sogni (o meglio incubi), per cui mi si presentano in testa con già una forma definita, una trama, quasi tutto insomma. Niente a che vedere col lavoro bestiale che c’è dietro la composizione di un romanzo, dove hai solo qualche idea e devi costruire di sana pianta tutto il resto intorno, ed è un continuo provare e correggere, cambiare e buttare per aria, quando non passi settimane fermo per un banale intoppo.
I racconti dovrebbero andare lisci come l’olio, dovrei solo riportare la storia che già si è composta da sola nella mia mente mentre dormivo, aggiustarla un pochino per renderla più lineare e via.
Invece no, perché –per l’appunto- sono sogni, sono un canale diretto col mio essere più intimo, dentro c’è qualcosa di dannatamente doloroso e/o angosciante, dentro ci sono io, e mi fanno stare male.
Buttarli su carta è una terapia, ma equivale a incidere una ferita.
Così I guardiani del Sabato è così triste che quando ci penso, quando cerco di comporre mentalmente frasi sul treno devo smettere perché mi ritrovo coi lucciconi, quello chiamato per ora Betty! Betty! (titolo stupido, poi lo cambierò) mi fa francamente paura, e sono del tutto incapace di rileggere ad alta voce la parte finale de I passi che facciamo, che mi ammazza (non è nell’elenco perché teoricamente finito) e per il quale non ho ancora oggi trovato una chiusa decente.
E di dedicarmi agli altri, quelli un po’ meno intensi, non ho mai voglia. Penso che allora sarebbe meglio lavorare al romanzo, sarebbe meglio far questo e quell’altro e alla fine non concludo…un corpo cilindrico cavo, esatto.
Che sciagurata.
1 commento:
Vabbe', recensioni e altro servono solo ad attirare un po' di lettori... poi se vai a vedere i romanzi o gli scritti seri magari non stai così "indietro".
Simone
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